domenica 27 febbraio 2011

Non si uccide così una ragazzina


Un altro cadavere sconciato di giovane donna. Un’altra scoperta macabra, straziante che lascia storditi e angosciati. Perché, perché? Sembrano chiedersi quegli occhi spalancati nell’esperienza solitaria della morte violenta. E sappiamo che sono proprio quelle pupille ingrandite dal terrore le ultime testimoni del segreto omicidio. Loro sanno e noi non sappiamo e forse non sapremo mai cosa è avvenuto precisamente. È anche probabile che proprio per quel loro sapere siano state spente brutalmente quelle pupille infantili. Perché hanno veduto l’odio nel volto dell’assassino, perché hanno incontrato in quel corpo incombente il piacere più torbido e crudele, quello di un essere che schiaccia un altro essere e per un momento si sente onnipotente. Il dio stesso del male spinto dalla forza dell’odio.
Ma da dove deriva tanto odio? Come si può detestare una ragazzina acqua e sapone, che studia danza, che si veste semplice, che non usa il linguaggio della seduzione, che tiene i capelli legati dietro la testa, che non si trucca nemmeno, che va e viene da casa con tranquilla serietà? Come si può considerarla una nemica da punire per il solo fatto di stare al mondo? Perché questo è quello che raccontano gli esperti della psiche: senza che ce ne rendiamo conto, una segreta guerra fra i generi prospera nei sotterranei della vita collettiva. Quegli uomini per fortuna sono una minoranza che fanno coincidere la loro identità sessuale con il dominio, non sopportano le donne, soprattutto quando vanno in giro da sole, con la testa alta, senza fare le gatte innamorate, la sola cosa che appaga il loro senso del rapporto fra i sessi. La paura di quella schiena dritta, di quella testa alta può portare al furore più cieco. Cosa crede di essere questa ragazza che si permette di incedere tranquilla per la strada come se fosse autonoma e libera? Adesso le dimostro io chi è il più forte!
E lì, come spiegano gli psicologi dell’Onu, viene fuori l’arma più antica e comune: lo stupro.L’arma di guerra che gli animali non conoscono e di cui gli uomini fanno largo uso quando vogliono umiliare il nemico. Un atto che non ha niente a che vedere col piacere sessuale, ma con la voglia di mortificare, offendere, distruggere l’altro. L’altra in questo caso, una piccola dolce ma seria e indipendente ragazzina che si permetteva di uscire da sola al calar del sole.
Sarà un orribile deterrente. Che l’assassino o gli assassini non avranno nemmeno voluto. Ma i risultato sono quelli: quanti genitori impediranno da oggi alle loro figlie adolescenti di uscire da sole? Quanta libertà duramente conquistata andrà cancellata per paura ? Questo dimostrerebbe il carattere guerresco di genere che si trova sotto ogni corpo di ragazza ritrovato morto.
Non basta piangere. Non basta recriminare. Bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare sul rapporto fra i sessi, sulla assoluta necessità di coltivare il rispetto per l’altro. Un insegnamento che dovrebbe cominciare nelle scuole primarie ed essere accompagnato dall’esempio degli adulti. Ma gli adulti stanno dando un buon esempio? A voi la risposta.

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sabato 26 febbraio 2011

Enna piena di accattoni e mendicanti


Inutile negarlo. La città è piena di persone che, ai semafori, davanti ai supermercati o alle chiese, chiedono, indisturbati, l’elemosina. Si tratta di racket dell’elemosina? Non sta a noi stabilirlo. Di sicuro c’è che tutto avviene nell’assoluta indifferenza delle istituzioni e di chi dovrebbe tutelare il territorio urbano. Chiamateli accattoni, mendicanti; sta di fatto che ormai ce li troviamo ovunque. E non parliamo certo di vere situazioni di bisogno, che vanno risolte dai servizi sociali. I casi più eclatanti. Il primo, incredibile, i semafori di Enna alta e bassa, da anni di fatto sono stati consegnati a dei marocchini che sfruttano il ‘fermo’ delle autovetture e con la scusa di vendere fazzolettini chiedono qualche moneta. Altro caso, quello di donne, probabilmente di nazionalità romena, davanti ai supermercati con in mano un bicchiere di plastica a chiedere l’elemosina. Ovviamente, anche in questo caso nessuno vede niente; così come nessuno nota che qualcuno, con una macchina, all’ora dell’apertura, le accompagna e poi le va a riprendere alla chiusura. Insomma, tutto lascia pensare ad una città lasciata al proprio destino dove chiunque può fare qualsiasi cosa. E quello che accade ai semafori e davanti i supermercati lo dimostrano chiaramente. Un altro problema. In viale Unità d’Italia, di fronte ad un noto negozio di elettrodomestici, è stato collocato da tempo un contenitore per la rccolta degli indumenti usati. Ottimo, qualcuno direbbe. Purtroppo no. Il problema è che il cassonetto non è sorvegliato. Tradotto: chi, spinto dal bisogno, come recentemente abbiamo fotografato, va a rovistare in cerca di un capo di abbigliamento, una volta individuatolo, non rimette a posto, ma lascia tutto il resto a terra. Un comportamento deprecabile, non adottato certo da tutti quelli che hanno bisogno di indumenti usati. Ma, purtroppo, si ripete spesso.

Giacomo Lisacchi

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La “guerra della Tarsu” si arricchisce di una nuova puntata

Enna. La “guerra della Tarsu” si arricchisce di una nuova puntata. La Giunta municipale, il 18 e il 21 febbraio, con delibere n.36 e n.37, ha riconfermato la tassa dei rifiuti 2010 e 2009. Tarsu che a sua volta era stata approvata per quanto riguarda il 2010 con delibera di G.M. n.83 del 20 aprile 2010 e per il 2009 con delibera di G.M. n.126 del 25 maggio 2010. Le due delibere del 2010, attualmente, sono oggetto di contenzioso da parte dell’Associazione siciliana dei consumatori che, rivolgendosi al Tar, punta a farle dichiarare illegittime in quanto la competenza della determinazione della Tarsu- secondo un’esplicita norma di legge (art. 32 della legge 142/90 recepita dalla legge regionale 48/91)- non è della Giunta ma del Consiglio comunale. Infatti, proprio in forza di questa legge, i cittadini ennesi stanno facendo ricorso presso la Commissione provinciale tributaria per l’annullamento delle bollette Tarsu 2009. “Sono due delibere –dichiara il presidente del Centro studi “Sen. Antonio Romano”, Mario Orlando- alquanto ambigue; infatti, all’oggetto citano le due delibere precedenti che facevano riferimento ad un regolamento Tarsu approvato nel ‘95. Quest’ultime sembrano invece voler dire che quanto previsto nel regolamento del ’95, cioè che la competenza della derminazione della Tarsu è della Giunta, trova anche “la sua fonte normativa nell’art. 41 dello Statuto comunale, approvato con deliberazione n. 54 del 30/6/93, e modificato con deliberazione n. 18/98 e n.98/2004”. La cosa strana –afferma ancora Orlando- che sia le delibere di Giunta approvate nel 2010 che quelle di alcuni giorni fa, sono in violazione del Regolamento delle entrate tributarie comunali approvato dal Consiglio comunale con delibera n. 17 del 28/4/2007, dove l’art. 5 recita espressamente: 1) “Il Consiglio comunale delibera all’istituzione e all’ordinamento dei tributi. 2) Alla determinazione e all’adeguamento delle relative aliquote e tariffe, nel rispetto dei limiti massimi stabiliti dalla legge, nonchè delle agevolazioni, provvede il Consiglio comunale ad eccezione delle tariffe relative all’imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni e della tassa occupazione spazi che sono di competenza del Sindaco”. Questo regolamento –conclude Orlando- di cui nessuno ne parla, sarà presentato dagli avvocati dell’Associazione consumatori al Tar come motivo aggiunto al contenzioso in atto”.

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giovedì 24 febbraio 2011

Villarosa- Aumenta la tassa rifiuti


Piovono critiche sulla tassa rifiuti 2009 stabilita con propria determina dal sindaco Gabriele Zaffora, dopo che il Consiglio comunale aveva approvato il piano economico. “Spiace dover constatare che l’amministrazione –dicono il capogruppo Angelo Faraci e il consigliere Salvatore Bruno della lista di minoranza “Insieme”- abbia rifiutato la nostra collaborazione affinchè insieme si potesse trovare una soluzione per una Tarsu più giusta e più equa per i cittadini”. Intanto, i consiglieri di opposizione legano in una nota il proprio disappunto per quanto sta accadendo a Villarosa. “Su nostra richiesta –è scritto nel documento- abbiamo incontrato l’amministrazione comunale per far luce sull’enorme aumento delle tariffe sui rifiuti decise dal sindaco per l’anno 2009, oltre ad evidenziare tutta una serie di illegittimità. Con grande senso di responsabilità avevamo deciso di offrire all’amministrazione il nostro disinteressato contributo per correggere errori e per alleviare quel peso che i cittadini di Villarosa sono costretti a sopportare a causa di una avventata gestione del bilancio comunale. Dopo aver evidenziato l’irregolarità della notifica; la mancanza di un regolamento che garantisca eguale applicazione della Tarsu per tutti i cittadini; la insufficiente rateizzazione della tassa e tante altre inequità. Avevamo proposto: l’istituzione di una Commissione per la formazione di un regolamento per evitare applicazioni difformi tra cittadini; di eliminare la spesa di notifica perchè errata ed illegittima”. “Non solo –aggiungono Faraci e Bruno-. Avevano chiesto all’amministrazione l’impegno a fornire resoconto delle somme incassate ed il loro utilizzo e di elaborare un progetto per iniziare la raccolta differenziata che ci porterebbe al risparmio e al conferimento in discarica di meno rifiuti. Purtroppo, la risposta è stata no”. “Non è nei miei poteri modificare ruoli già approvati per gli anni precedenti –dichiara il sindaco Zaffora-. E gliel’ho spiegato negli incontri che abbiamo avuto. Avevo dato tutta la mia disponibilità, invece, a discutere per quanto riguarda la Tarsu 2011 e a ragionare di tutto senza nessuna preclusione tranne quelle dovute per legge. Voglio sottolineare –aggiunge Zaffora- che l’amministrazione da me rappresentata non emette tasse irresponsabilmente, ma lo fa nel rispetto delle leggi e soprattutto della comunità che amministra. Il decreto Ronghi dice che la copertura del servizio è a totale carico dei cittadini, a Villarosa ancora siamo al 70%”.

Giacomo Lisacchi

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mercoledì 23 febbraio 2011

Sanremo, errori storici e l'ironia di Benigni soffocata dalla necessità di compiacere


Esibendosi sul palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo, un Roberto Benigni sottotono, meno istrionico e brillante del solito, ha celebrato con enfasi ufficiale il 150esimo anniversario dell'unità d'Italia, sudando e visibilmente a disagio a causa delle direttive imposte dai vertici Rai che lo hanno tenuto a freno, temendo evidentemente qualche frecciatina irriverente scoccata all'indirizzo del sultano nazionale. Ma l'unico sberleffo arguto è stato concesso nel momento in cui il giullare toscano ha menzionato un altro celebre Silvio, autore de "Le mie prigioni", alludendo ai guai giudiziari del premier. Nella circostanza sanremese il comico di Prato ha denotato una scarsa libertà istrionica e giullaresca, una vena poco caustica e creativa che ha sempre contrassegnato le sue performance. Senza vincoli, Benigni era un ciclone travolgente di surrealismo e satira corrosiva, ma a Sanremo la sua solita verve ironica e dissacrante si è spenta per cedere il posto ad un’insospettabile fede patriottica. Si pensi alla retorica sciorinata sul palco dell'Ariston sul patriottismo e sulla sottile distinzione tra patriottismo e nazionalismo. Invece, a voler essere davvero onesti intellettualmente, bisognerebbe ammettere che il patriottismo è l'anticamera del fanatismo sciovinista, quindi dell'imperialismo e del fascismo. Nella passerella filo-risorgimentale Benigni non ha mancato di esaltare persino i Savoia, definiti come la dinastia più antica d'Europa, come se il primato derivante da un'ascendenza secolare fosse un motivo di vanto, mentre avrebbe dovuto segnalare le gravi colpe, i demeriti e i crimini storici compiuti dai suddetti sovrani, che nei secoli si sono rivelati come la più sanguinaria, oscurantista e retriva fra le famiglie reali europee. D’altronde, è estremamente difficile rendere giustizia a 150 anni di menzogne raccontate dai vincitori e a tonnellate di fango e ingiurie scaricate sulle vittime di una vera e propria invasione militare che è stata, come ogni processo di “unificazione” (o, per meglio dire, annessione) nazionale, un’aggressione barbarica e terroristica, una conquista brutale e sanguinosa che non ha avuto nulla di epico o romantico. Si pensi solo ai milioni di contadini meridionali assassinati dall’esercito occupante, non certo per essere "liberati" dall'oppressione della Casa di Borbone del Regno delle Due Sicilie, bensì per subire una spietata colonizzazione, un regime crudele e disumano come quello savoiardo, che ha saccheggiato le enormi ricchezze di un territorio che non era affatto povero, come la falsa retorica dominante ci ha voluto far intendere per troppi decenni.
Non a caso nel 1920 sul giornale "L'Ordine Nuovo" da lui diretto, Antonio Gramsci scriveva le seguenti parole, denunciando con forza e chiarezza quella che fu conosciuta come la “Questione meridionale”: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti.” Ma tant'è che Benigni di castronerie ne ha dette tante nella serata sanremese, anche a proposito dell'"eroico" pirata nizzardo e dell’astuto conte di Cavour, scorrendo una galleria di figure risorgimentali, noti esponenti della massoneria ottocentesca, fino ad indicare il premier britannico Winston Churchill come il "vincitore" del nazismo. Lo smemorato di Prato ha affermato una falsità storica dicendo che l'Italia sarebbe stata liberata nientemeno che da Churchill, sulla cui figura ci sarebbe molto da obiettare: basti dire che nel 1933 definì Benito Mussolini "il più grande legislatore fra i viventi". L'aver attribuito al primo ministro inglese l'appannaggio esclusivo della vittoria sul nazismo rappresenta uno sbaglio eclatante commesso di proposito per compiacere i dirigenti Rai e i politici di destra seduti in platea. Ad aggravare le colpe di Benigni sono stati i mancati richiami alla Resistenza antifascista, per cui avrebbe dovuto ricordare quanto in termini di lacrime e sangue è costata la conquista della libertà al popolo italiano. Invece non ha proferito nulla a riguardo per non urtare la suscettibilità di qualche irascibile e nostalgico ministro presente in sala. Insomma, nell'intervento a Sanremo l'ispirazione ironica e mordace di Benigni è stata soffocata dalle direttive Rai, per cui l’artista toscano ha dovuto esibire una serie di corbellerie e falsità storiche. Si vede che con l'avanzare dell'età il povero giullare è diventato fiacco e remissivo, mentre agli esordi della carriera era un uragano incontenibile di sagacia, comicità e poesia. Del resto, già nel film "La vita è bella" il Roberto nazionale ha preso un abbaglio clamoroso, mistificando la storia per accattivarsi le simpatie dello star system hollywoodiano e aggiudicarsi l’Oscar. Nel film attribuisce agli americani la liberazione di Auschwitz, quando entra in scena il carro armato con la stella bianca, mentre è noto che il 27 Gennaio 1945 (in tale data si celebra la Giornata della memoria) ad Auschwitz entrarono i soldati dell'Armata Rossa liberando i prigionieri sopravvissuti. E' vero che nel film non si specifica che il lager sia quello di Auschwitz, tuttavia lo lascia intendere chiaramente. Diciamo che è stata una "sviolinata" concessa ai signori di Hollywood.

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martedì 22 febbraio 2011

Villarosa-Vivono in sei, otto e persino in undici in abitazioni fatiscenti




Villarosa. Vivono in sei, otto e persino in undici in abitazioni fatiscenti. Macchè, forse è meglio dire in tuguri. Ambienti, dunque, malsani e privi di requisiti igienici. Muri scrostati e umidi, fili elettrici volanti e a portata di mano. Soffitte e solai inquietanti e il pericolo di crolli aumenta giorno dopo giorno. Un pericolo incombente. Con un episodio che ha diffuso l’allarme fra le tante famiglie che a Villarosa vivono situazioni abitative di disagio e di assoluta indegenza. Poche settimane fa una parte del soffitto dell’abitazione dove Enzo Puzzanghera viveva con moglie e tre figli ha ceduto di schianto. Per fortuna il tutto è accaduto quando tutti gli occupanti erano fuori. Una casualità che, probabilmente, ha evitato una tragedia. “Abitare in quella casa era diventato un incubo –dice Enzo- Una preoccupazione continua, soprattutto per quanto potesse succedere ai miei bambini”. Enzo, costretto a lasciare precipitosamente l’abitazione, per due notti ha dormito con moglie e figli in macchina . “Ora ho trovato una sistemazione provvisoria –racconta- nell’edificio comunale dell’ex pretura. Ma sino a quanto può durare? Tra l’altro non mi hanno permesso di portare i mobili, a parte le reti e i materassi per potere dormire. Molte famiglie –denuncia- subiamo la discriminazione di proprietari sempre meno disponibili ad affitare”. Sono tante le famiglie che a Villarosa vivono nell’angoscia per non avere una casa decente. E’ il caso di Maria Cinzia, marito e tre figli, di cui uno down; di Rosa Maria, quattro figli, costretta a vivere con il marito in un piccolo ambiente, dove water e stanza da letto comunicano direttamente con una stanzetta che di giorno funge da cucina (l’unica che ha un balconcino) e di notte da cameretta per i bambini. L’illuminazione, con due lampadine, è limitata alle due stanze, mentre in una terza completamente al buio ci dorme il cognato. “Non ci riesco più a stare –ripete affranta- i miei figli sono sempre malati”. E che dire di Graziella che abita in una casa con muri impregnati di umidità e che quando piove si riempie di recipienti per raccogliere l’acqua che viene giù dal tetto. “L’umidità sta mangiando viva me e i mieri figli” –dice infuriata-. Ma potremmo parlare anche di Vittorio Puzzanghera, che vive in un buco di 18 metri quadrati. “La mattina è soggiorno, a mezzogiorno cucina e la sera stanza da letto” –commenta laconico. Così come di Salvatore Sorbello e Alfonso Chierico. Potremmo raccontare di altre situazioni insostenebili, assurde ed impensabili, ma ci fermiamo qua. Intanto, nell’assurdità di questi disagi per tante famiglie (villarosane doc) c’è un paradosso. In contrada Zotta Caldaia, 24 alloggi popolari se ne stanno abbandonati e vandalizzati, perché le tre palazzine costruite circa sette anni fa non sono state acora allacciate al collettore fognario principale urbano che dista poco più di 200 metri.

Giacomo Lisacchi

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E' in partenza dal Binario 1...



E’ come sfogliare le pagine un po’ ingiallite di un libro rilegato ancora con filo e colla ricoperto da uno spesso cartoncino, inciso a cifre d’oro. Così, con lo stesso stato d’animo, con la stessa curiosità e uguale stupore con cui lo si sfoglia, ci si approccia a Villarosa, paesino in provincia di Enna, un tempo territorio di Caltanissetta. Icona di ricordi di una Sicilia dalla bellezza “…velata e offuscata ma non guasta…”per dirla con Manzoni. A 38 Km da Piazza Armerina, dove si trovano i preziosi mosaici della villa romana del Casale, incontriamo quella che un tempo si chiamava Casale di Bombunetto(dall’arabo Bob-el-luna: porta della tranquillità) ribattezzata poi San Giacomo di Villarosa e infine Villarosa dal 1761, in onore di Rosa Ciotti da Resuttano(provincia di Enna), architetto e pittrice che ridisegnò il piano regolatore della cittadina. Lo volle a somiglianza dei Quattro Canti, piazza Vigliena di Palermo, distribuendo su una pianta ottagonale quattro zone ottenute dalla intersecazione della perpendicolare all’incrocio delle due strade principali: Corso Garibaldi e Corso Regina Margherita, che costituirono i quartieri Sant’Anna, Porta Palermo, Calvario e Sagrezia. Furono poi ribattezzati, nel dopoguerra: Cavour, Procida, Meli e Lincoln. L’architetto e pittrice dipinse anche lo stemma del paese: su un fondo azzurro racchiuso in un ovale con su scritto Casale di San Giacomo di Villarosa, risalta una rosa d’oro.
Il violento terremoto del 1693 che si abbatté sulla Sicilia, distrusse e spopolò anche l’antico borgo di Bombunetto le cui origini si fanno risalire al 1250.
Francesco Notarbartolo acquistò la baronia e il feudo e in seguito a un matrimonio politicamente fortunato, divenne proprietario di un vasto territorio delimitato dal fiume Salso (di acqua salata da cui il nome) e dal fiume Morello (di acqua dolce). Fu il figlio, il Duca Placido, che nel 1762 ottenne la “licentia populandi” che il padre aveva chiesto fin dal 1731, con la quale fu autorizzato a chiamare nei suoi possedimenti tutti coloro che dai centri più vicini e non solo, volessero trasferirsi per iniziare una nuova vita e formare una nuova comunità lavorativa. L’economia del paese fu sempre molto attiva e florida; il XIX° secolo lo vide pure protagonista nell’estrazione dello zolfo dalle miniere presenti nel suo territorio.
Fu proprio questa attività imprenditoriale che spinse, alla fine del 1700, il notaio Calogero Deodato - la cui famiglia, originaria di Orvieto si era trapiantata a Noto(Siracusa) intorno al 1492 – ad acquistare giacimenti minerari di zolfo diventando così proprietario di numerosi feudi e solfatare.
L’ultimogenito, Pietro, ricoprì la carica di Sindaco di Villarosa e diede ulteriore impulso allo sviluppo della cittadina facendo convogliare l’acqua della sorgente “gazzana” di Calascibetta nella rete idrica che aveva fatto costruire. Fu anche membro della Storia Patria e appassionato di cultura e tradizioni popolari. Benedetto, il 4° dei suoi 12 figli, anch’egli notaio, anch’egli sindaco e poi podestà sotto il fascismo, fece costruire la prima scuola elementare del paese e nel 1932 fece impiantare la rete elettrica. Con il contributo chiesto al giornale di New York “Il progresso italo-americano”, fece erigere il monumento ai caduti. Morì nel 1934, lo stesso anno in cui a Luigi Pirandello veniva consegnato il premio Nobel per la letteratura. Anche il grande drammaturgo agrigentino aveva nel suo DNA lo zolfo, le miniere: nel giorno della sua nascita, 28 giugno 1867, furono due carusi che portarono a spalla il padre Stefano, malato, proprietario di una solfatara, alla casa del Caos dove la moglie stava per partorire Luigi. In “Ciaula e la luna”, Pirandello descrive in modo struggente la vita del caruso, figura emblematica di una Sicilia povera in cui il lavoro del minatore costringeva a un mondo “al buio” e dove l’impatto con la luce, fosse anche quella della luna, diventava traumatico per chi, vissuto tra le viscere più profonde della terra, conosceva una realtà a una sola dimensione: il buio della notte, il nero più cupo. Nei primi anni del ‘900 una piccola rete ferroviaria, a “scartamento ridotto”, fu costruita dalla società inglese Sikelia che aveva preso in concessione alcune miniere. Le decauville, vagoncini di ferro ribaltabili, potevano così trasportare il materiale estratto direttamente alla stazione ferroviaria di Villarosa (inaugurata il 1° febbraio 1876) per poi dirottarlo verso i porti di Licata mare, Porto Empedocle e Catania.
Ma è sui binari delle ferrovie che si infrange il sogno di molti bambini, una volta divenuti adulti.
Il…”Signori, in carrozza! E’ in partenza dal binario 1 il treno diretto a…” seguito dal fischio del capostazione dall’inconfondibile berretto rosso, si spezza su una nuova realtà, su un presente che è un itinerario della speranza, un viaggio per molti senza ritorno. E’ l’emigrante il passeggero di quel treno con la sua valigia di cartone, legata dallo spago per essere certi di non perdere lungo il tragitto il bagaglio dei ricordi, tristi o lieti che siano, ma pur sempre il proprio passato, il proprio vissuto, la propria appartenenza. Quando ai primi del ‘900 il settore estrattivo comincia a dare segni di crisi, l’America diventa il primo ideale di riscatto; seguiranno poi, negli anni ’40 il Belgio, la Francia e la Germania. Sul muro della stazione, una lapide che vi si legge ancora, così recita: “Parto, riesco e torno al mio paese”. Ha rischiato di infrangersi anche il sogno del ritorno dell’emigrante: negli anni ’90 le Ferrovie decidono di dismettere la stazione e mandano Primo David, originario di Villarosa, capostazione, per smantellarla. Novello Penelope, come ama definirsi, mentre di giorno preparava la documentazione richiestagli per lo smantellamento, di notte si adoperava per trovare la possibilità di salvare quel patrimonio di ricordi, per salvare la memoria di quel paese così ricco di storia e di reperti etnoantropologici. Grazie all’aiuto degli stessi abitanti e di coloro che da lì erano partiti tanti anni prima in cerca di fortuna, riesce a raccogliere innumerevoli oggetti della vita rurale e mineraria che diventano materiale museale. Ed è proprio un Museo che si inventa Primo David, sfruttando i vagoni abbandonati su un binario morto della piccola stazione e che, alcuni dei quali, erano addirittura serviti nella seconda guerra mondiale per deportare ebrei da Roma a Trieste, alla risiera di San Sabba, unico campo di concentramento in Italia con annessi forni crematori. Da luogo di dolore diventano luogo di cultura. Al loro interno si trovano riprodotti, nei minimi particolari e composti soltanto da “pezzi” assolutamente originali, ambienti di vita sia nobiliare che contadina dei Villarosani. Alcuni oggetti, davvero preziosi ed unici, arricchiscono questo singolare monumento alla memoria che può vantare – è anche l’unico museo-treno d’Italia – pezzi rari come, visitabile al 1° binario, un vagoncino minerario che serviva al trasporto del carbone nelle miniere del Belgio, arrivato dal distretto di Charleroix. Vi sono riprodotte perfino le miniere con gli attrezzi per l’estrazione dello zolfo, le lampade per l’esplorazione dei cunicoli, tante foto d’epoca; su un binario morto si può osservare una vecchia motrice, una garitta del frenatore e un pianale del 1926 adibito al trasporto di carri armati nella seconda guerra mondiale. Non manca una pompa che serviva a rifornire d’acqua le locomotive a vapore e un vecchio telefono da muro; c’è pure la “casa del contadino”, la “bottega del ciabattino” e proprio la settimana scorsa, grazie alla generosità della famiglia Pecora, è stata donata una casa che ospita il museo “ ‘a casa du ‘miricanu”(la casa dell’americano), ricco di materiale fotografico e di quanto è appartenuto a Giovanni Pecora emigrato a Chicago nel 1968, compreso un giradischi dell’epoca. Primo David, intervistato per l’Italo-Americano, ci conferma la rinascita della stazione ferroviaria di Villarosa, salvata grazie al suo intervento e all’amore suo e dei suoi concittadini. Con 200.000 turisti che in 14 anni hanno visitato il museo (visitabile virtualmente anche attraverso il sito internet www.trenomuseovillarosa.com) il cui 80% lo ha fatto arrivando al paese in treno, il successo è stato raggiunto. La stazione è salva e il capostazione, che si definisce “zappatore di cultura”, adesso è orgoglioso di mostrare che dal binario 1 non partono soltanto treni carichi di tristi emigranti ma arrivano turisti da ogni parte, restituendo al territorio la dignità culturale che merita.
Ancora una volta, allora sentiremo dalla stazione di Villarosa: “Signori, in carrozza. E’ in partenza dal binario 1 il treno diretto a….”

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giovedì 17 febbraio 2011

IL PRETE E LE………… PRETESE

Ho una grandissima gioia a scrivervi. Ed ho una grandissima paura. La gioia di comunicare con voi a cuore aperto. La paura di dire parole ripetute, parole che non sanno, non conoscono, non possono penetrare il mistero del prete, il suo infinito di grazia. Come si fa a parlare del prete? Vorrei dire: che ne sappiamo noi, laici, del prete? Penso all’approccio di tante nostre Messe domenicali. Tutta quella gente lì presente e il prete, solo, all’altare. Di fronte a lui tutti quei volti, senza gioia, senza comunione, come tanti precettati. E penso a tante nostre assemblee parrocchiali: c’è sempre qualcuno, a un certo punto, che si alza e va alla tribuna per proclamare tutte le sue insoddisfazioni. Poi, scompare. Non lo si vede più fino alla prossima opportunità di denunzia. Il prete sa che è condannato ad essere solo. Ho domandato a tanti che “vanno” in chiesa, che cosa si aspettano dal prete. Qualcuno mi ha risposto: “Il presbitero sia…….!”. Ed io sono rimasto atterrito. In questo “sia” c’era – non vorrei negarlo, tanto amore di Chiesa, ma anche tanta pretesa, tanta disattenzione, tanta comodità di delegare ad un uomo tutto l’eroismo della terra. Si vuole tutto da lui: che egli sia un uomo di cielo, con le ginocchia piegate, e che sia anche buttato nella strada, tra i poveri, a gridare giustizia, a rischiare l’infarto. Che egli sia semplice, ingenuo, una sorta di buon curato di campagna, e che, d’altra parte, sia un cofano di cultura, di dottrina, con tutte le specializzazioni applicate al suo mestiere. Che egli sia un uomo di tolleranza, di compromesso, un uomo di pace, amico di tutti (magari nemico dei nostri nemici!), e che sia anche un intransigente, un custode spietato delle verità immutabili. Il fatto è che la prima cosa da fare, il primo dovere da compiere, nei confronti del prete, è cercare di capire, essere attenti alla sua umanità. L’umanità di quest’uomo: un uomo come me, che può avere i nervi a pezzi, che può sentirsi non realizzato, che ha dei limiti come ciascuno di noi, che ha accettato le certezze e però partecipa all’agonia, alla problematica di questo nostro tempo. Quest’uomo che attualizza, nella liturgia, la follia dell’amore e che però sperimenta tante volte l’incapacità di saper tradurre, nella quotidianità della vita, della propria vita, la pazzia di questo amore. Quest’uomo che, un giorno, ha voluto essere celibe. E però arrivano al suo cuore tutte le inquietudini, i dubbi sull’utilità storica del suo celibato. Quest’uomo fatto per la comunione, e che però può soffrire, talvolta, la solitudine. Quest’uomo sconosciuto dalla stessa comunità dei cristiani, abbandonato, interrogato. I cosiddetti “fedeli” sono i primi a sostenere: “Ben gli stia!” Quest’uomo impiegato nel servizio, senza il rispetto dei tempi. Quest’uomo senza una sicurezza affettiva. E’ terribile l’assenza di amore, colpevole, delittuosa, della comunità. Lo dico in ginocchio: bisogna amare di più, comprenderci di più. perché l’amore è il futuro dell’uomo. E nell’uomo da amare si trova la via della storia di domani, dove sono le radici più profonde della nostra speranza..

mercoledì 16 febbraio 2011

22 ex amministratori dell'Ato rifiuti nella bufera giudiziaria


Siamo stati facili profeti (magra consolazione) il 14 marzo dell’anno scorso, quando abbiamo scritto, nel n.11 del settimanale diocesano “Settegiorni”, che EnnaEuno “è un Ato rifiuti invischiato nei pasticci amministrativi, travolto dalle inchieste giudiziarie e contabili e soprattutto sommerso dai debiti che si aggirano intorno ai 100 milioni di euro, ai quali i 22 ex amministratori rischiano di rispondere anche con i beni personali”. Infatti, secondo quanto si legge nel comunicato stampa della Guardia di Finanza di qualche giorno fa, “è stata data esecuzione al provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, già emesso in data 17 marzo 2010 dal Tribunale di Enna e divenuto esecutivo a seguito della Sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione II, n. 231 emessa il 26 ottobre 2010 e depositata il 10 gennaio 2011, nell’ambito delle indagini che hanno accertato gravi irregolarità nella gestione della società “EnnaEuno S.p.a. in Liquidazione”. “Il sequestro effettuato dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Enna -si legge ancora nella nota-, per complessivi € 654.846,86, ricomprende somme liquide, beni immobili, titoli ed altre utilità nella disponibilità personale di ex amministratori della società “EnnaEuno S.p.a. in liquidazione. La Procura ha concluso le indagini preliminari e sono stati notificati i relativi avvisi”. Dei 22 ex amministratori al momento nella bufera giudiziaria dei sequestri, sono incappati i deputati nazionali e regionali che dal giugno 2006 al gennaio 2007 facevano parte del Consiglio di amministrazione dell’Ato rifiuti. Dunque, il senatore del Pd Mirello Crisafulli, in qualità di presidente, il parlamentare nazionale del PdL Ugo Grimaldi (vice presidente), nonchè i deputati regionali del Pd Elio Galvagno (amministratore delegato), Carmelo Tumino e Salvatore Termine (consiglieri). Secondo indiscrezioni, dei cinque deputati, ad esssere maggiormente penalizzato nel sequestro preventivo di conti correnti, beni immobili e quant’altro sarebbe stato l’on. Salvatore Termine. Gli altri quattro? Forse sono stati un po’ più accorti nelle loro cose. Come si ricorderà, nel 2006, l’unico deputato ennese che non accettò di far parte del Cda di Enna Euno fu l’on. Edoardo Leanza del Pdl. A non voler accettare era anche l’on. Termine, ma fu costretto dopo qualche mese ad entrarci, per non creare tensioni all’interno del Pd, considerato che l’on. Tumino minacciava le dimissione qualora Termine si fosse tirato fuori. Intanto, c’è da dire che in seguito agli accertamenti effettuati dalle Fiamme Gialle, verrebbero contestati a tutti gli indagati, quindi anche ai 5 parlamentari, una serie di reati societari e gravi violazioni contabili. Ad esempio, il Cda durante la gestione Crisafulli, secondo gli inquirenti, per accedere ai finanziamenti del fondo di rotazione della Regione, avrebbe aumentato “in modo fittizio” il capitale sociale di EnnaEuno, portandolo da 100 mila euro a 1 milione e 50 mila, dividendo poi gratuitamente le azioni ai 20 comuni. Pare che una parte dei contributi ottenuti (circa 9 milioni di euro) sarebbe stata impiegata per finalità diverse rispetto a quanto stabilito nel decreto regionale di concessione. Oltre 900 mila euro sarebbero stati utilizzati dall’Ato ennese per acquistare il pacchetto azionario della Cosiam ( in cui facevano parte i fratelli Gulino), socio privato di Sicilia Ambiente.

Giacomo Lisacchi

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Pietraperzia.Trafugate due tele nella Chiesa di Sant'Elia-L'appello di don Rabita agli autori del furto:Ravvedetevi


Pietraperzia. E’ molto preoccupato il parroco della chiesa Madre, don Giuseppe Rabita, per il trafugamento di due tele nella Chiesa di Sant’Elia. Don Rabita, che è responsabile della Chiesa, lancia un appello agli autori del furto invitandoli ad un gesto di ravvedimento. “Le due tele sono di grande valore devozionale – dice don Rabita -. Quella raffigurante l’Annunziata era collocata nella Chiesa del Rosario ed era oggetto di grande culto soprattutto da parte delle donne gravide e di quelle che non potevano avere figli. L’altra tela raffigura la Madonna col Bambino e due santi, tra cui Sant’Elia, titolare della chiesa. Questo santo – prosegue il parroco – è poco conosciuto dai cattolici, ma molto venerato dai bizantini”. Elia nacque ad Enna verso l’829; fu un monaco asceta siculo-greco dalla vita avventurosa. La sua fu una vita itinerante, intessuta di avventure, viaggi a piedi, fondazioni di monasteri, miracoli; fu costretto ad abbandonare la sua città natale Enna, assediata dai Saraceni e da loro conquistata nell’859; cadde comunque nelle loro mani e fu venduto schiavo in Africa. Liberato in seguito, si mise a predicare il Vangelo a rischio della propria vita; costretto a fuggire, si rifugiò in Palestina, dove ricevette l’abito monastico. Dopo la caduta in mano degli arabi di Siracusa (878), si recò in Calabria dove verso l’880 fondò il monastero di Saline vicino Reggio Calabria, che poi prese il suo nome. Minacciato dalle incursioni saracene fu costretto ad allontanarsene prima a Patrasso in Grecia e poi a S. Cristina nell’Aspromonte. L’infaticabile monaco andò anche pellegrino a Roma e al suo ritorno fondò il monastero di Aulinas (900-901) sul monte che prese il suo nome presso Palmi; la fama della sua meravigliosa attività, predicazione e dei numerosi miracoli, giunse anche in Oriente, per cui l’imperatore Leone VI il Filosofo (866-911) lo invitò a Costantinopoli. Ancora una volta, l’ormai anziano Elia si mise in viaggio, ma non riuscì a giungere a destinazione. Arrivato a Tessalonica, si ammalò e qui morì il 17 agosto del 904. Il suo corpo fu trasportato ad Aulinas presso Palmi e, secondo il suo desiderio, tumulato nella chiesa del monastero. Il suo nome resta legato al Monte S. Elia, oggi meta turistica molto frequentata e sul quale sorge un oratorio in suo onore. “Non sappiamo i motivi – afferma don Rabita – che hanno portato alla collocazione di questa tela e della intitolazione della chiesa a questo personaggio di cui si è persa memoria dalle nostre parti. Fatto sta che neppure nella natia Enna si ha una qualsiasi raffigurazione del santo ennese. Qualche anno fa – dichiara ancora il parroco – mi fu addirittura avanzata la proposta di cedere la chiesa ai bizantini, cosa che rifiutai decisamente”. L’intera collettività pietrina è rimasta sgomenta alla notizia del gesto sacrilego, preoccupata anche per il continuo impoverimento del patrimonio artistico della cittadina già depauperato per l’incuria e l’abbandono. Le due tele sono catalogate e fotografate, di esse si conoscono le misure esatte e quindi sono riconoscibili. “Invito gli autori del furto – conclude il parroco - a fare un atto di pentimento, a non danneggiare i dipinti e a farli ritrovare, anche in modo anonimo, restituendoli in tal modo alla devozione di fedeli”.

Giacomo Lisacchi

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domenica 13 febbraio 2011

L'Azione cattolica della diocesi di Piazza Armerina festeggia la “Giornata mondiale della pace”



Villarosa. Se la pace avesse un volto, sarebbe quello dei giovani dell’Azione cattolica della diocesi di Piazza Armerina che ieri, per l’intera giornata, hanno travolto con la loro gioia Villarosa e Villapriolo. Tante grandi e piccole voci arrivate dalle parrocchie di Gela, Butera, Mazzarino, Enna, Piettraperzia, Piazza Armerina, Riesi, Villarosa, Aidone, Barrafranca hanno formato un grande coro per festeggiare la “Giornata mondiale della pace”, che arriva a conclusione di un intero mese di eventi e di approfondimenti del Messaggio del Papa che quest’anno ha come tema “Libertà religiosa, via per la pace”. Calorosa è stata l’accoglienza da parte del presidente e dell’assistente diocesano dell’Acr, Gugliemo Borgia e don Salvatore Bevacqua, del Vicario Foraneo, don Salvatore Stagno, ma soprattutto del sindaco Gabriele Zaffora e dell’assessore Mimmo Russo. La giornata è iniziata in piazza De Simone con un momento di riflessione, preghiere e canti, con la messa e infine con la marcia della Pace, un corteo allegro e colorato, al termine della quale è stato consegnato un messaggio del Papa al sindaco Zaffora. Poi la ‘Pace’ condivisa da tutti è esplosa con giochi canti e visite guidate ai musei di Villa Lucrezia e della Stazione e delle case museo di Villapriolo dove in piazza La Furia, nella pomeriggio è stata innalzata la bandiera della Pace e in onore del 150° anniversario dell’Unità d’Italia cantato l’inno nazionale. “Con la giornata di oggi voi volete dire a tutti che “Ciò che conta di più è…la Pace –è stato il messaggio del vescovo Pennisi, che non è potuto essere presente come gli altri anni perché impegnato per l’ordinazione di un suo amico a vescovo-. Voi “acierrini” avete individuando le cose superflue da sottrarre, come in un’espressione matematica, alla vostra vita per “fare la differenza”, evidenziando invece le cose che danno sapore alla vita perché “sanno di pace”. Oggi ringraziate il Signore che rende nuova ogni cosa e rinnovate il Vostro impegno a portare in tutte le situazioni e i luoghi in cui manca la pace l’amore di Dio. Sarete così annunciatori di pace raggiungendo quelli che hanno bisogno del vostro sorriso. Voi ragazzi avete tutti i numeri per essere costruttori di pace nella Vostra città mettendovi in gioco nella vostra vita di ogni giorno”. Il sindaco Zaffora, nel ringraziare gli organizzatori diocesani per la bella iniziativa, rivolgensosi ai ragazzi li ha invitati a continuare il cammino intrapreso, “perchè la pace –ha detto- è qualcosa di bello e al tempo stesso un progetto da realizzare, mai totalmente compiuto”.

Pietro Lisacchi

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Le donne ennesi unite per difendere la propria dignità


E’ stata una forte e coinvolgente manifestazione, ma anche una testimonianza, che ha visto come protagiste tante donne ennesi unite per difendere la propria dignità, per dire che non tutte le donne si ispirano al modello delle “veline”. Si può riassumere così il senso della mobilitazione del “popolo rosa” che a Enna si è svolta forse in maniera inedita rispetto alle centinaia di piazze di tutta Italia, in quanto la manifestazione è stata organizzata partendo dalla piazza antistante del Castello di Lombardia, dove si erge la statua di Euno, lo schiavo siriano che guidò la guerra di liberazione che scoppiò a Enna nel 139 a.C, per poi sfilare fino a piazza Vittorio Emanuele. L’iniziativa, il cui leit motiv è stato “Se non ora quando?”, ha visto la partecipazione anche di centinaia di giovani e uomini. “Stiamo cercando di dare voce all’indignazione delle donne e degli uomini della nostra provincia – ha detto la segretaria generale della Cgil, Rita Magnano-. Indignazione rispetto a una crisi che è partita come finanziaria, si è trasformata subito in crisi economica, politica e sociale per poi arrivare alla crisi etica di questo Paese. Il principio che tutto è possibile in Italia e che tutto è giustificabile sta veramente destrutturando un sistema di valori che noi non accettiamo. Al centro di questa destrutturazione c’è sempre e comunque l’immagine di una donna che qualcuno vuole continuare a calpestare. Noi siamo le donne che tempo fa sono scese in piazza –ha continuato la Magnano- per rivendicare e conquistare diritti. Forse c’eravamo un po’ assopite, convinte che l’altra parte del cielo avesse capito cosa fossero le pari opportunità. Ci siamo accorti che non si piuò ancora abbassare la guardia. Questa non è una piazza di donne contro donne –ha aggiunto-, è una piazza di donne e uomini che pensano ancora che l’etica sia indispensabile e che una società se si vuole definire democratica non può abdicare a dei valori che sono essenziali. Qui siamo nella parte più alta della nostra città, sotto la statua che per noi è un simbolo. Oggi distrubuiamo pane e nutella perchè noi siamo famiglia, lanciamo dei palloncini perchè noi vogliamo ancora sperare che qualcosa si possa cambiare. Lo speriamo e da questo momento in poi ritorniamo a combattere perchè le speranze diventino certezze”. “E’ una manifestazione –ha sottolineato invece Giovanna D’Alia- che non ha colore politico ed è aperta a tutti. Stiamo distribuendo pane e nutella perchè è l’elemento base, fondamentale della nostra società, un valore della nostra cultura contadina che significa famiglia. Valore semplice che è il sale della società. Le donne che oggi siamo presenti qui, siamo protagoniste consapevoli e portatrici di valori fondamentali”.

Giacomo Lisacchi

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sabato 5 febbraio 2011

Intervista all'on. Ugo Grimaldi su Pasquasia


On. Grimaldi, Lei nel '97 era Assessore al Territorio e Ambiente alla Regione Siciliana. Può confermare o smentire se all'interno della miniera dimessa di Pasquasia sono depositate scorie nucleari radioattive? “Le dico subito che non sta certamente a me affermare se a Pasquasia ci siano le scorie. Vi è l'Autorità Giudiziaria che sta svolgendo un lavoro come si deve in collaborazione con la Guardia di Finanza di Caltanissetta per fare chiarezza, mi auguro definitivamente, su questo grosso rischio che stanno correndo le popolazioni dell'ennese e del nisseno. Nel 1997 ebbi a dichiarare la mia grande preoccupazione perché su un'indagine che era stata condotta dall'oncologo Cammarata su casi di leucemia e tumori, si era verificato un certo preoccupante loro incremento. Allora, abbiamo iniziato ad occuparci della miniera di Pasquasia e non solo della miniera di Pasquasia; ebbi a denunziare che l'intera Sicilia rischiava di essere trasformata in una pattumiera dell'Europa. Ho denunziato la presenza di amianto in tutto il territorio provinciale, nelle cave abbandonate ed in altri siti. Ricordo che fu aperta un'indagine, la quale indagine però non portò assolutamente a chiarire dubbi e perplessità, e soprattutto le preoccupazioni della popolazione ennese. Fui addirittura considerato una persona che voleva creare inutile allarmismo. Ma l'allarmismo non ero io a crearlo, ma erano i dati preoccupanti di mortalità per tumori in una provincia, in una città come Enna dove, non essendoci industrie o motivi d'inquinamento particolare rispetto alle altre province o territori d'Italia, questi erano dati molto ma molto preoccupanti”.
Il Suo Assessorato come ha gestito, dunque, questa complessa faccenda collegata alla presunta presenza di scorie tossiche all'interno della miniera? “Io tentai, allora, con tutte le mie forze di fare luce su questo fatto ma, obiettivamente debbo dirlo, agii quasi da solo. Lo dichiarai a quell'epoca e continuo a sostenerlo anche adesso: non mi sono trovato accanto le istituzioni e le forze politiche. La cosa mi preoccupò moltissimo a tal punto che quando fui ascoltato dalla Procura di Caltanissetta ebbi a dichiarare, ricordo bene, la mia grande preoccupazione nel sentirmi isolato nel portare avanti questa battaglia che non era una battaglia politica ma era una battaglia di un uomo responsabile, il quale aveva un ruolo importante nella Regione Siciliana con il mandato che mi era stato conferito dal Presidente della Regione. Mi ricordo bene che allora venne a trovarmi da Roma il Generale Comandante del NOE, il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, il quale mi confermò che anche lui era convinto che Pasquasia contenesse nel suo interno delle scorie radioattive. L'ecomafia in quel tempo era protagonista in tutto il territorio italiano e principalmente in quello siciliano. Sono sicuro che quando il Procuratore generale antimafia Vigna ebbe a sostenere in televisione che la dichiarazione del pentito Leonardo Messina su Pasquasia era una dichiarazione attendibile, avvalorava la mia ipotesi, la tesi che avevo sostenuto. Ma poi su tutto questo è calato il silenzio più assoluto”. On. Grimaldi, Lei ha parlato di ecomafia e ha fatto riferimento al pentito Leonardo Messina... “Non ho fatto riferimento io, ma lo ha fatto il procuratore Vigna”.
Da quanto risulta da quelle confessioni, il Messina avrebbe parlato di un probabile coinvolgimento dei servizi segreti nell'affare Pasquasia e che negli anni '80 agenti del SISDI avrebbero contattato l'allora amministrazione comunale per richiedere un'autorizzazione a seppellire in quella miniera materiale militare. Ecomafia, va bene; ma non ci troviamo, probabilmente, anche di fronte ad un possibile coinvolgimento delle stesse istituzioni? Quindi, c'era e c'è chi in Italia forse sapeva e sa? “Io non me la sento di entrare nel merito della questione anche se certamente allora, oltre allo stesso stato italiano, anche altri stati europei avevano urgente necessità a trovare dei siti idonei per collocare le loro scorie. Poiché altri siti in Europa erano già esauriti, e non era quindi più possibile trasportare e seppellire le scorie, si scelse la miniera di Pasquasia come la più idonea allo scopo. Ma la cosa grave, veda, è che troppe cose coincidono. Una miniera che poteva dare ancora tanto lavoro per molti anni, per decenni, fu inspiegabilmente chiusa ed il fatto è gravissimo. Ci sono due posizioni. C'è un'opinione che sostiene che la miniera di Pasquasia poteva ancora produrre solo per qualche anno ed un'opinione, sempre tecnica, che afferma invece che per decenni la miniera poteva ancora essere sfruttata. Questa miniera improvvisamente però fu chiusa e non si capisce, a tutt'oggi, perché non si possa più riaprire. Tutto questo certamente ci fa pensare che c'erano diversi interessi”.

Lei, On. Grimaldi, nel '97 si trovò al centro di uno spiacevole episodio tanto che se ne discusse durante una seduta della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della Mafia. L'On. Miccichè ebbe in quell'udienza a sostenere che Lei aveva tentato personalmente d'entrare nella miniera di Pasquasia, oramai chiusa e in completo stato d'abbandono, per costatare cosa stava accadendo ma che Le fu fisicamente vietato.

“Quando cercai di entrare a Pasquasia con dei tecnici, con degli esperti del mio assessorato, ebbi grande difficoltà ad accedervi, perché non volevano che entrasse la televisione. Non volevano nel modo più assoluto che si vedessero i pozzi. Quando poi sono riuscito ad entrare all'interno della miniera, la cosa più strana che vidi era che uno di quei pozzi, che loro chiamavano bocche d'aria o sfiatatoi enormi e profondi di diametro più di 15 metri, era stato riempito con materiale che di sicuro era stato trasportato all'interno della miniera per chiudere, per tappare in modo definitivo quella bocca. E non si tratta di materiale buttato dentro casualmente come può verificarsi in una miniera temporaneamente chiusa, come quando qualcuno che vede una pietra e che la butta dentro. Qui si tratta di TIR carichi di materiale che poi hanno buttato dentro appositamente per seppellire e nascondere un qualcosa”. A proposito di TIR. Se materiale radioattivo è stato scaricato nella miniera, sicuramente sono stati utilizzati dei camion speciali e, in ogni caso, sotto una stretta sorveglianza. È possibile che nessuno li abbia mai visto circolare nelle strade della Sicilia o raggiungere ed entrare a Pasquasia? È possibile che nessuno abbia saputo niente o visto mai nulla? I misteri pasquasiaci sembrano a questo punto essere veramente indecifrabili.

“Qualcuno avrà certamente visto e quindi ci sono senz'altro grandi responsabilità. Abbiamo fatto anche degli accertamenti ed in superficie si è riscontrata la presenza di radioattività. Però, allora, questa cosa fu chiusa, fu accantonata. Adesso la Procura della Repubblica di Caltanissetta e la Guardia di Finanza di Caltanissetta oramai da mesi portano avanti un'indagine su Pasquasia. Questo certamente ci preoccupa e nello stesso tempo ci rende orgogliosi perché finalmente qualcosa di serio si sta movendo. La GdF vigila su questa miniera 24 ore, notte e giorno, per evitare che qualcuno possa entrare o possa creare altri ulteriori danni all'ambiente. La presenza delle Fiamme Gialle e l'indagine che la Procura sta conducendo con grande serietà e con grande impegno, fa presupporre che, in effetti, ci siano grandi responsabilità sulle quali bisogna far subito chiarezza. Perché, vede, tutto nella vita può essere ammesso, eccetto che giocare con la vita della gente. Su questa cosa credo che la classe politica ed anche tutti i cittadini debbano essere molti vigili, molto attenti. Siamo fiduciosi e in attesa di scoprire il danno enorme che con tanta semplicità, da parte di qualcuno, si è commesso nel passato”. Solo quando si avrà l'assoluta certezza della presenza di contenitori nucleari all'interno della miniera, si potrà allora iniziare a pensare di bonificarla. Ma come si potrebbe procedere ad una sua bonifica? “In Europa, quando seppelliscono fusti contenenti le scorie nucleari, gli buttano poi sopra il sale per evitare che possano eventualmente creare danni. Ma io sono convinto che, nel tempo, logorandosi la lamiera di questi bidoni, le scorie possano contaminare le falde acquifere e quindi causare grosse preoccupazioni. Per riaprire Pasquasia bisogna innanzitutto capire qual è il danno che è stato fatto e cosa realmente ci sia nella miniera. L'ENEA aveva creato un bunker sotterraneo per fare degli esperimenti e si vorrebbe ora addebitare la presenza di questa radioattività proprio a quegli esperimenti che aveva allora fatto. Come bisognerebbe bonificare Pasquasia questo sinceramente non lo so, ma bonificare Pasquasia significherebbe ridare poi lavoro a centinaia di persone ancora per molti anni e questo è l'obiettivo finale. Prima però bisognerebbe fare chiarezza, intervenire energicamente e punire i responsabili per poi passare alla fase che potrebbe essere lo sfruttamento dei Sali”. Ma Lei sa benissimo, On. Grimaldi, che della miniera non resta quasi più nulla. I pozzi sono otturati e tutti gli impianti oramai sono fuori uso. In queste condizioni, Pasquasia come potrebbe mai riaprire?

“Ci sono grandi responsabilità, perché lì c'erano macchine efficientissime. C'era l'obbligo, dopo la chiusura, di occuparsi della manutenzione delle macchine perché da un momento all'altro la miniera doveva essere riaperta. La verità è che questa miniera è servita, prima, a dare lavoro e occupazione a molte famiglie e, poi, è servita a fare arricchire qualcuno che gestiva la miniera”. Se involucri con sostanze radioattive furono effettivamente seppelliti a Pasquasia, magari sotto sollecitazione di qualche stato estero come, ad esempio, la Francia che si trovò nella necessità di smaltire le proprie scorie nucleari, adesso saranno in qualche posto che magari sarà molto difficile da scoprire e da raggiungere. Ora, per la bonifica, occorre sapere dove esattamente i contenitori sono interrati. L'interno di Pasquasia è vastissimo. Non pensa, Lei, On. Grimaldi, che il posto ideale per saperlo possa trovarsi magari in qualche segreto archivio sotterraneo dei servizi di sicurezza a Roma? “La strumentazione che oggi abbiamo a disposizione può consentirci di arrivare molto vicino a dove sono seppellite queste scorie perché la presenza delle radioattività viene segnalata”. Una volta segnalata la presenza di radioattività, nasce però il vero problema che sarà quello di entrare nella miniera, perché il suo stato d'abbandono... con i pozzi chiusi...
“Non essendoci stata più volontariamente, mi auguro di no, ma penso di sì, la giusta manutenzione, adesso non è più facile entrare nella miniera perché sarebbe molto pericoloso. E tutto questo, penso, possa collegarsi con tutto ciò che, eventualmente, secondo le mie previsioni, si è realizzato nel passato. Il non curarsi più dell'ordinaria manutenzione serviva proprio per evitare che un giorno si potesse entrare dentro e capire quello che realmente era successo. Io sono convinto che la verità, alla fine, salterà fuori perché ho visto il grande impegno che la Guardia di Finanza sta mettendo per fare chiarezza. Credo che si arriverà alla verità. Il problema serio è che intanto bisognerebbe cominciare a pensare come eventualmente potere bonificare, ma non soltanto dalle scorie. Come in tutte le cave in disuso, anche Pasquasia è stata rifugio di altri materiali pericolosi, tossici come l'amianto. Tempo fa ho avuto modo di denunciare la presenza d'amianto in vetture ferroviarie abbandonate nella stazione di Dittaino, vicino ad Enna, ed anche in quell'occasione fui quasi criminalizzato. Adesso, finalmente, si sono tutti resi conto che c'è. Possono considerarci, noi della provincia di Enna, come la gente più brava e più buona d'Italia e della Sicilia, possono farci mancare magari il lavoro, ma non possono assolutamente tenerci con il pericolo sulla testa, non possono assolutamente farci morire”. Ad Enna si muore anche in modo anomalo e ci sono parecchie morti sospette. Il pericolo, come Lei afferma, incombe realmente sulla testa, anzi sulla salute, degli ennesi. L'alta concentrazione di antenne e ripetitori telefonici - radio - televisivi nel quartiere di Montesalvo, ad esempio, sta causando una non poca preoccupazione. La zona è stata dichiarata altamente a rischio e il quartiere è stato incluso recentemente fra i 152 siti italiani responsabili di produrre elettrosmog. La Procura della Repubblica di Enna e il Sostituto dott. Salvucci, collaborato dagli uomini della Guardia di Finanza di Enna, dal 1999 stanno svolgendo indagini a riguardo, anche per appurare se vi siano state e vi sono delle responsabilità. E il Sindaco Prof. Ardica ha deliberato recentemente che le antenne da Montesalvo debbano essere o spostate in altri siti lontano dalle abitazioni o verranno oscurate. “Anche per questo provvedimento di Ardica, fatto nell'interesse proprio della collettività, non abbiamo visto, ancora una volta, presenti gli ambientalisti e le istituzioni. Allora, penso che ad Enna abbiamo oramai deciso che, per forza, dobbiamo accorciare la nostra vita. Io invece dico che bisogna lottare per la nostra vita, per la nostra sopravvivenza, per garantirci di poter arrivare ad una certa età senza malattie e senza grossi problemi di salute. Questo provvedimento molto coraggioso del Sindaco Ardica è stato sottovalutato, se non addirittura ostacolato”. Ma il dott. Salvucci ci ha recentemente dichiarato che l'ordinanza del Sindaco, quella di fare oscurare le antenne, è stata magnifica e che ammira l'On. Ardica per quello che ha fatto e per come sta gestendo la situazione. “Alla Magistratura bisogna rivolgere un vivo ringraziamento per quanto sta facendo e perché ha dimostrato grande sensibilità per il problema dell'ambiente. È, questo, un problema che dobbiamo tutti, dal semplice cittadino alla classe politica, dalla Magistratura alle forze di Polizia, cominciare ad attenzionare al massimo, perché in un ambiente ammalato, non c'è dubbio, stiamo tutti male. In un ambiente sano, invece, possiamo cominciare finalmente a sperare che i nostri figli possano vivere una vita diversa. La Procura della Repubblica sta lavorando molto bene. Desidererei che anche gli ambientalisti, i quali fanno alle volte delle battaglie per loro importanti, serie, interessanti come, per esempio, quelle per l'Autodromo di Pergusa, riserva o non riserva, ma poi quando si tratta di grandi problemi come le antenne della zona Montesalvo, la miniera di Pasquasia, l'amianto buttato ovunque, chiudono simpaticamente gli occhi. Invece, apriamoli gli occhi sulle cose più serie. L'Autodromo di Pergusa deve continuare ad esistere perché non solo fa parte della storia della Sicilia ma perché è nato, non dobbiamo dimenticarlo, prima della riserva stessa. Sulla riserva tutti gli occhi sono puntati, perché forse ci sono altri interessi nello spostare l'autodromo da Pergusa”. On. Grimaldi, voglio però ricordarLe che durante l'udienza della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della Mafia, di cui prima si è parlato e nella quale si discusse delle probabili scorie di Pasquasia, il dott. Realacci, presidente di Legambiente, ebbe anche a difenderLa. “Sì. Sì. Legambiente. Io le dico subito che all'inizio mi sono trovato vicino solamente gli amici di Legambiente. Tutte le altre associazioni rimasero completamente in silenzio. Legambiente mi fu obiettivamente all'inizio vicino. Poi però anche Legambiente ha dimenticato questo grosso problema della nostra città e della nostra provincia”. Desidero ringraziarLa per quello che ci ha detto. È stato molto chiaro sulle Sue posizioni come uomo politico. In conclusione, voglio farLe la stessa domanda iniziale rivolta, però, al semplice cittadino Ugo Grimaldi: ci sono o non ci sono le scorie nucleari radioattive a Pasquasia?
“Da semplice cittadino, dico che sono preoccupato e che sono convinto che stanno lì e che ci sia pericolo. Da politico, invece, vorrei non affermarlo perché qualcun altro politico potrebbe anche strumentalizzare la mia dichiarazione. Da semplice cittadino, ne sono convinto e sono per questo preoccupato, molto preoccupato”.
Finalmente si parla di svolta e si entra nel vivo dei lavori di ricostruzione delle strade provinciali e delle scuole. Ne abbiamo parlato con il presidente della provincia, Pippo Monaco, che ha fatto prima una sorte di esame di valutazione su quello che è stato l’operato dell’anno che è passato. “Un anno –ha esodito Monaco- pesantissimo per via dei tagli e di una logorante burocrazia che peggiora una situazione già difficile per fondi che non arrivano”. Poi ha parlato del “cammino virtuoso avviato” dalla sua amministrazione “che riguarda tutta una serie di cose che negli anni precedenti si erano programmate”. “Per la viabilità –ha detto-, anche se i finanziamenti della legge 296 prevedevano per la nostra provincia oltre 100 milioni di euro, poi ridotti a 38, siamo in una fase avanzata per la ricostruzione di molte strade provinciali disastrate, avendo già aggiudicate 27 gare, molte delle quali si stanno contrattualizzando. Il problema più grosso, che ci preme in modo particolare, è la ricostruzione della Sp n.28, la cosiddetta Panoramica; una strada di accesso strategica per Enna, per la quale la Provincia ha realizzato il progetto che è stato approvato. Ora, avendo le carte in regola, ci stiamo muovendo politicamente per ottenere quanto prima la firma per il finanziamento e quindi avviare il bando per il ripristino di questa importante arteria. Inoltre, grazie all’impegno dell’assessore Zinna, si è risvegliato il progetto per il completamento della Nord-Sud. Progetto che è stato inserito, come ci ha confermato l’Anas ed il presidente Lombardo, nel “Piano nazionale per il Sud”. Infine, l’ ufficio tecnico, sotto la guida dell’assessore ai Lavori Pubblici, Antonio Alvano, sta cercando, nel rispetto dei tempi, di ultimare nel più breve tempo possibile i progetti esecutivi da inviare a Palermo presso la task force regionale, costituita per il rientro della Venere ad Aidone per la ristrutturazione ed ammodernamento di alcune strade provinciali che costituiscono di fatto il percorso che dall’autostrada Palermo-Catania, e precisamente che dallo svincolo di Mulinello porta sino all’innesto sulla statale 288, nei pressi dei boschi di Bellia, per poi arrivare ad Aidone. Le strade interessate sono le provinciali 7°, quindi la provinciale 4 che passa nei pressi di Valguarnera, la provinciale 88, che ora viene utilizzata perché la “4” nella parte terminale, subito dopo la galleria, si presenta con una frana di grosse proporzioni, quindi il collegamento con la “turistica” e poi con la statale 117 bis, che porta alla periferia di Piazza Armerina dove c’è l’innesto con la statale 288. Per l’ammodernamento di queste strade i progetti esecutivi prevedono complessivamente un impegno di spesa di un milione e mezzo di euro, già stanziati, con 400 mila euro per la provinciale 7°, 700 mila euro per la provinciale 4 e 405 mila euro per l’ammodernamento della provinciale 88, mentre la statale 288 subirà degli interventi che però saranno di competenza dell’Anas regionale. Sono tutti progetti capaci di innescare meccanismi virtuosi con effetti benefici per l’economia e l’occupazione”. Monaco quindi ha parlato dell’edilizia scolastica: “Sul fronte delle scuole –ha sottolineato- abbiamo completato il Liceo classico di Nicosia e quanto prima ci sarà il trasferimento degli studenti in questa bellissima struttura. Così come finalmente abbiamo superato tutti gli ostacoli per l’appalto di 700 mila euro dell’Istituto Tecnico Industriale di Piazza Armerina. Un istituto che è stato progettato in mezzo all’acqua e realizzato con cemento depotenziato, tanto che due terzi della struttura è inagibile. Per l’Istituto Magistrale di Enna, i cui lavori durano vergognosamente dal 1999, si sta lavorando per la messa in sicurezza dell’edificio. Con la ditta che realizzò l’edificio, e con la quale era nata una controversia, abbiamo raggiunto una sorta di accordo transattivo per il completamento della struttura. Così come sta andando avanti il Liceo classico Colajanni di Enna, i cui lavori stanno proseguendo senza intoppi per il rifacimento del tetto e l’adeguamento sismico”. Il presidente della provincia, nel corso della sua esposizione, non ha mancato di fare riferimento anche ad alcuni successi della sua amministrazione, come il riconoscimento alla provincia di Enna di istituire uno dei 5 istituti tecnici superiori previsti in tutta Italia per quanto riguarda il campo energetico. “E questo –ha detto Monaco- nonostante le difficoltà che le altre province siciliane ci hanno frapposto. Abbiamo già redatto l’atto costitutivo e in questo momento si trova in Prefettura per il riconoscimento della Fondazione alla quale hanno aderito importanti aziende a livello nazionale. E’ una scuola speciale di alta teconologia che garantirà a molti giovani diplomati competenze specialistiche e occupabilità nel settore energetico. Un altro successo è il riconoscimento del Pon Sicurezza (Programma operativo nazionale sicurezza) finanziato dal Ministero dell’Interno. Un finanziamento che con la prima trance ci permetterà di ristrutturare l’edificio di via Bagni, ex locali della Cpc, dove si creerà un centro di raccolta, di formazione, di assistenza e di socializzazione degli immigrati. Un altro importante riconoscimento –ha concluso Monaco- è l’approvazione dell’Apq giovani, il cui progetto denominato “Orange point” consiste nella realizzazione in diversi comuni della provincia di una serie di corsi e attività per i giovani che riguarderanno vari aspetti dell’artigianato. Corsi che si faranno con personale qualificato e non voglio nel modo più assoluto che vengano gestiti dai soliti carrozzoni di scuole fasulle”.

Intervista del 16 marzo 2001 all'On. Ugo Grimaldi
di Angelo Severino