mercoledì 31 ottobre 2012

Regione, è già toto-assessori


L’ex comunista che ama il Vangelo e cita Che Guevara è già alle prese con il toto-assessori, una squadra che vedrà rappresentata Messina, così come Messina è stata determinante alla sua elezione. Il neo Presidente della Regione,Rosario Crocetta ha escluso inciuci all’Ars così come vita breve, rassicurando Musumeci, “Stia tranquillo, sono certo che su 90 deputati troverò qualcuno disposto a lavorare per il bene della Sicilia”, annuncia l’azzeramento della consulenze e mette alla porta gli alti papaveri della burocrazia siciliana “Stavo per disporre un censimento delle consulenze inutili. Ma poi ho deciso: come mi consente di fare la legge le revoco tutte. Vale anche per i dirigenti, i direttori generali”. La prima testa a cadere sarà quella diAlbert, il super-esperto alla formazione del governo Lombardo. Il primo taglio di Crocetta sarà sul suo stipendio, la prima proposta di legge: nessun incarico né candidatura per indagati per mafia, corruzione ed associazione a delinquere. Nessuna indiscrezione sugli assessori, l’unica certezza è Lucia Borsellino alla sanità, così come altrettanto certa sarà l’assenza dell’ex assessore “la collaborazione con Massimo Russo non è in agenda”, e del resto gli alleatiUdc avrebbero alzato le barricate sull’autore di una riforma contestata quotidianamente dai centristi. Quanto ai nomi della sua giunta il neo Presidente ha escluso pressioni e lo stesso Francantonio Genovese ha dichiarato che da parte del Pd non ci saranno. Quel che è certo è che il peso dei voti messinesi, che hanno portato Crocetta in riva allo Stretto ad oltre il 34%, si farà sentire. In casa Pd (risultato il primo partito) il neo confermato Franco Rinaldi ha superato la soglia dei 18 mila consensi e per lui dovrebbe essere pronta una poltrona in giunta, anche se non è esclusa la Presidenza dell’Ars. Del resto il Pd siciliano, rispetto al 2008, ha perso in termini di percentuali e di deputati, ma proprio a Messina ha retto l’ondata di protesta ed incassato altre preferenze quindi Genovese farà valere i numeri. Quanto all’Udc il posto nella giunta Crocetta è per Giovanni Ardizzone (Beni culturali e turismo? Presto per dirlo)  mentre appare improbabile la Presidenza dell’Ars, mentre non è da escludere la vicepresidenza del governo regionale. Del resto il primo a fare il passo in avanti, spiazzando la stessa segreteria regionale Pd che ignorava Crocetta e guardava altrove è stato il segretario regionale dell’Udc Gianpiero D’Alia, sfidando ed incassando tutte le accuse piovute agli ex cuffariani da sinistra e da destra per un’alleanza “contro-natura”. Patto che alla fine ha retto e che porterà un Udc messinese, Ardizzone,direttamente in giunta. Sulla poltrona di Cascio, la Presidenza dell’Ars, il M5S ha proposto una donna ( colpo di scena, ce ne sono 15 ), e c’è anche chi ipotizza un’apertura all’opposizione. E’ ancora presto per dirlo e i giochi sono aperti. Ma c’è un’altra novità. Pochi giorni prima del voto Crocetta ha incontrato il commissario Croce che gli ha esposto chiaramente la drammatica situazione della città alle prese con il rischio default. E tra le prime cose in agenda c’è proprio il caso Messina.

Moglie gelosa tenta di tagliare il pene al marito mentre dorme


 In preda a una crisi di gelosia ha impugnato un coltello e ha tentato di evirare il marito: è accaduto a Fasano (Brindisi) nei giorni scorsi. La notizia è pubblicata dal Quotidiano di Brindisi . Un uomo di 40 anni, si è presentato al pronto soccorso dell'ospedale Umberto I con ferite da taglio ai genitali alle quali sono stati applicati alcuni punti di sutura. I medici dopo le cure lo hanno dimesso, non ritenendo che corresse pericolo di vita, con una prognosi di pochi giorni.

I fatti sono stati presto ricostruiti, anche grazie alla testimonianza della stessa vittima che è andata autonomamente presso il nosocomio. Il ferimento sarebbe avvenuto nel cuore della notte, nel letto coniugale. La moglie avrebbe utilizzato un coltello da cucina e avrebbe infierito mentre il marito dormiva. Trattandosi di lesioni lievi, spetterà al 40enne decidere se formulare o meno denuncia. Dell'accaduto sono stati comunque informati i carabinieri.

Il primo presidente
che a palazzo d'Orléans
entrerà con la scorta

Poeta. Ma anche politico coraggioso che sfida mafia e poteri forti

rosario crocetta

Non è uno «yesman» pronto ai compromessi, Saro Crocetta è uno che da giovane segretario comunista mandò a quel paese papà D'Alema inviato a Gela dal Pci per indagare sulla sua vita privata, ha mandato a quel paese la mafia e persino la raffineria Eni, stava per mandare a quel paese anche il Pd che prima di candidarlo ha dovuto superare una serie di mal di pancia, sempre per lo stesso motivo che lo perseguita da ragazzino, il suo essere un siciliano diverso, non macho. Un siciliano che scrive poesie e fa il politico, che sfida la mafia ed è costretto a vivere ancora sotto scorta da dieci anni perché Cosa Nostra non dimentica. Sarà il primo presidente a entrare a Palazzo d'Orléans con tutta la scorta.
Nel libro che racconta la sua vita è scritto in copertina: «Dedicato ai ragazzi e alle ragazze della città più bella del mondo. / A quanti se ne sono andati troppo presto e controvoglia. / A quanti vogliono ancora credere che domani ci crederanno ancora, perché non riusciranno mai a cancellare la nostra voglia di vivere e sognare. / A mia madre. / A nonna Betta Caponnetto che ci insegna il valore del dovere quotidiano. / A don Amico che mi ha fatto conoscere Cristo. / Agli uomini che difendono la mia vita, che Dio li preservi. / A don Luigi, parroco del "Bronx", il quartiere che vuole si chiami Santa Lucia: lui ci crede».
Adora Gela e il suo mare di fronte all'Africa, Gela greca, araba, normanna, già splendida nel VI secolo a C., Gela dalla gioventù bellissima e non xenofoba. Ricorda ancora quando da ragazzino sentì in contrada Balala la gente gridare: «Truvarunu u petroliu».
Aveva cominciato a studiare all'Università di Catania, ma smise presto perché suo padre era andato in pensione e la famiglia aveva bisogno. Andò in fabbrica, l'unica che c'era, il Petrolchimico dell'Eni. Il lavoro in fabbrica non era quello che avrebbe voluto, ma l'Eni lo mandò a Milano a perfezionarsi in informatica e poi lo spedì in Arabia Saudita dove c'erano raffinerie del cane a sei zampe. Nel 1979 era già un funzionario dell'Eni, capo progetto di alcune procedure informatiche a Pisticci, in Basilicata. Faceva lunghi soggiorni a Roma, frequentava i salotti, il poeta Dario Bellezza, artisti, attori, ma il suo cuore era a Gela perché intanto era accaduto che il Petrolchimico aveva portato lavoro, ma suscitato gli appetiti dei boss venuti da fuori, Piddu Madonia di Vallelunga Pratameno, capo di Cosa Nostra nissena, e Salvatore Iuculano, «stiddaro» palermitano. Crocetta diceva: «Questi mafiosi non sono nostri». Dal 1987 al 1990 ci furono 100 morti ammazzati l'anno, molte le vittime per i subappalti della diga del Disueri. La popolazione si era raddoppiata e nel periodo di «mattone selvaggio» nel quartiere di Settefarine erano sorti 12 mila vani abusivi in strade senza illuminazione e senza numeri civici. Era questa la Gela di cui Crocetta divenne sindaco nel 2003 e cominciò la sua doppia sfida, una all'Eni per costringerla a ridurre l'inquinamento e l'altra contro la mafia: bloccò l'appalto della nettezza urbana a una ditta in odore di mafia, licenziò la moglie del temutissimo boss Emmanuello che aveva un posto al Comune, mise fuori gioco la ditta «Conapro» che grazie a delle connivenze faceva razzia di appalti del petrolchimico, senza che l'Eni facesse troppe obiezioni. E nel frattempo faceva arrestare mafiosi a carrettate fino a una quota record di 850. Naturale che la mafia lo volesse sotterrare al più presto fino ad ingaggiare un killer venuto dal freddo.
Lui ha questa convinzione: la Sicilia è l'unica terra che non è cambiata. Sono arrivati i piemontesi e si sono alleati con la mafia, i fascisti hanno inglobato la mafia, gli americani quando sono sbarcati si sono alleati con la mafia, così hanno fatto i democristiani. Si continua a fare politica senza sentire la necessità di rompere con tutto questo al solo scopo dei voti di scambio. E Crocetta si chiede: «Essere onesti con sé e con gli altri è così difficile? ».
Pensa che la politica spesso finisca per essere conflittuale con alcuni dettami cristiani. «C'è quel continuo porsi di fronte agli altri e doverli necessariamente giudicare sapendo, al tempo stesso, di dovere essere giudicati a propria volta. Sarebbe il caso di chiedersi se sia giusto vivere il proprio rapporto con Dio e con gli altri a questo modo». In sostanza vorrebbe un libero rapporto d'amore con Dio senza essere giudicato dagli uomini.
«Io non voglio essere un modello da proporrre agli altri, anzi mi considero un cattivo modello, un modello un po' incasinato con troppe complicazioni: sono cristiano e sono comunista, mi dichiaro omosessuale con una chiesa cattolica che non è certo tenera nei propri giudizi e tutto questo mi porta di fronte ad un martirio quotidiano. E tutto le volte che prendo una comunione chiedo perdono a Dio. Ma a volte so di cosa, ma tante volte no».
Questo è il ritratto di un uomo travagliato, pieno di contraddizioni, ma con un cuore bambino che ancora crede nei sogni e nella bontà umana. E' lui, chapeau, il nuovo presidente della Regione siciliana.

Crocetta: Sono io il vero rivoluzionario


Palermo. Così controcorrente da riuscire a mettere assieme il diavolo, leggasi ex comunisti, e l'acquasanta, ovvero i democristiani. Così controcorrente da riuscire a convincere persino un elettorato, quello siciliano, da sempre restio al cambiamento.
Se nell'Isola - dopo gli anni travagliati dei governi di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo - si volterà veramente pagina, sarà il tempo a dirlo; di certo Rosario Crocetta da Gela (classe 1951), neo presidente della Regione Siciliana, ha compiuto un'impresa non da poco: ha vinto contro l'astensionismo, ha rallentato la poderosa avanzata del Movimento 5 Stelle, ha sconfitto la destra - che in Sicilia ha sempre fatto man bassa di voti - e gli oltranzisti della sinistra, indisponibili ad alleanze. Non avrà la maggioranza all'Ars, ma questo non lo intimorisce.
Gli elettori lo hanno incoronato governatore dell'Isola con il 30% dei consensi. Dato che, confrontato con quello ottenuto complessivamente dalle liste che lo hanno sostenuto ci dà un'altra chiave di lettura: Crocetta ha beneficiato dell'apparato di partito che Pd e Udc gli hanno messo al servizio. Senza dimenticare il contributo di Api e Psi.
I voti totalizzati dal candidato presidente della Regione, grosso modo, coincidono con quelli che hanno raccolto le liste.
La sua carta vincente è stata la diversità. Crocetta - gay dichiarato e icona dell'antimafia - ha avuto la meglio sul pregiudizio e sui luoghi comuni, sempre col suo stile controcorrente. E adesso non è disposto a fare sconti. Da sindaco di Gela ha sfidato Cosa nostra a viso aperto, da neo presidente della Regione rilancia: "Con me la mafia può fare le valige". Poi precisa: ‘'Non è mai accaduto in Sicilia che un rappresentante del centrosinistra venisse eletto e che venisse eletto un presidente con una chiara opzione antimafia. Credo che siano questi due elementi forti del cambiamento che dimostrano come in Sicilia, come dice anche Camilleri, sia entrata aria nuova e pulita".
Queste le sue prime parole ieri, al suo arrivo a Palermo, con mezza vittoria già in tasca. L'orologio segna le 16,35 quando Crocetta imbocca via Libertà, percorrendo a piedi il tratto da piazza Politeama (dove in un noto hotel ha incontrato i vertici del suo partito, il Pd) a via Mazzini, sede del suo comitato elettorale. Lo stesso di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, uscito vittorioso dalle elezioni amministrative dello scorso maggio.
Un'avanzata trionfale che ferma il traffico, senza nemmeno far infuriare gli automobilisti, e attira anche l'attenzione dei sostenitori di Nello Musumeci, che mettono la testa fuori da un desolato comitato elettorale, poco distante da quello dell'ex sindaco di Gela.
"Oggi (ieri, ndr) è cambiata la storia della Sicilia. In altri tempi uno come me non sarebbe stato eletto. Sono riuscito nel miracolo di mettere insieme movimenti non politici e partiti".
Subito dopo aggiunge: "Io sono un grande innovatore, un vero rivoluzionario, non come Grillo che blatera una rivoluzione che non sa fare". E a chi gli fa notare che non avrà la maggioranza a Sala d'Ercole, risponde: "All'Ars non farò inciuci, nessun ribaltone, è la mia storia che me lo vieta. Cercherò la maggioranza sui provvedimenti e se qualcuno mi dovesse fermare, allora si riandrà al voto e sono convinto che questa volta sarò eletto col 60% dei consensi".
Il tema delle future alleanze tiene banco, nonostante le rassicurazioni del neo presidente della Regione Siciliana, che annuncia: "Voglio governare in modo nuovo e inedito, metteremo in campo delle proposte insieme con i sindaci e le parti sociali, le associazioni che gestiscono i beni confiscati, le donne e i giovani. Voglio vedere chi a quel punto nega le leggi importanti. Vi saranno pure dei galantuomini all'Ars... Per prima cosa, subito dopo il mio insediamento licenzierò Ludovico Albert e tutti gli albertini".
Crocetta non esclude neanche una futura collaborazione col Movimento 5 Stelle ("Mi auguro che possa essere un interlocutore") e risponde a distanza al leader siciliano dei grillini Giancarlo Cancelleri, che ha promesso di non allearsi con nessuno all'Ars: "Le zitelle acide non trovano mai marito... ", dice parafrasando le stesse parole di Cancelleri.
Rosario Crocetta è ormai incontenibile. Dentro i locali di via Mazzini, al civico 59, colmi fino all'inverosimile, viene accolto al grido di "presidente, presidente, presidente". Crocetta dapprima si rifugia nel suo ufficio, fuma una sigaretta dopo l'altra. Poi si tuffa nella bolgia. È un vero e proprio assedio: il servizio d'ordine a stento riesce a tenerlo distante da simpatizzanti, giornalisti, compagni di partito. Lui non fa una piega e non si sottrae a nessuna domanda. L'umorismo non gli manca, tanto che sul famoso "patto delle crocchè" (crasi dei cognomi di Crocetta e Miccichè) si "smarca" così: "Non mangio carboidrati, il medico me lo ha vietato".
Mentre sulla presunta contiguità con il governo Lombardo, è laconico: "Non me ne frega niente". In comitato si vede pure Lucia Borsellino, assessore designato della nuova Giunta. Crocetta la stringe attorno a sé e continua l'analisi del risultato elettorale.
Senza risparmiare stoccate, nel mirino ci finisce soprattutto Claudio Fava: "Non ha capito niente. È stato sconfitto per tutta la sua vita, con lui non si va da nessuna parte", dice Crocetta. Inevitabilmente il discorso cade sulla mancata intesa con l'ala più radicale della sinistra. "Non ho mai teorizzato un'alleanza con l'Udc - spiega ancora Crocetta - che escludesse la sinistra di Vendola e Idv. Sono Sel e Idv che in Sicilia hanno detto no a questa alleanza. Bisogna capire che in Italia può vincere un fronte che mette insieme le forze di sinistra, cattoliche e moderate, progressisti e apra ai movimenti".
Sulla stessa scia Giuseppe Lupo, segretario regionale del Pd, che sottolinea: "Quella di Crocetta è una vittoria storica. La Sicilia che ha scelto l'alleanza tra progressisti e moderati ha sconfitto una destra che devastato la nostra Regione".
Infine Gianpiero D'Alia, leader regionale dello scudocrociato: "Quella tra Udc e Pd è un'alleanza onesta, sobria, trasparente, capace di cambiare il volto della Sicilia".

Mezza Sicilia si astiene

PALERMO - Alla chiusura dei seggi, nei 390 comuni siciliani in cui si votava per le elezioni regiornali l'affluenza è stata del 47,42% degli aventi diritto, pari a 2.203.885 elettori. Il 52,58% dunque ha disertato le urne, un dato che va al di là dei sondaggi, che indicavano una forbice tra il 44 e il 48%.

Il calo dell'affluenza alle urne dal 66,68% del 2008 (3.049.266 elettori) al 47,44% (2.203.715 elettori) ha riguardato tutte le province ma soprattutto i due capoluoghi principali: Palermo e Catania. A Palermo nel 2008 aveva votato il 69,11 % degli elettori mentre ieri il 46,31 % con un calo dell 22,8 %. A Catania alle scorse regionali aveva votato il 71,05% degli aventi diritto mentre ieri il 51,12% con un calo del 19.93%. 

Entrambe le città hanno superato la media regionale. Grosso calo di affluenza anche a Ragusa dove nel 2008 aveva votato il 70,29 % (la provincia  con la percentuale più alta di votanti) e questa volta il 49,79 % con un calo del 20,5%. A Trapani l'affluenza nel 2008 era stata del 68,23% e ieri del 47,55 con un calo del 20,68 %.

In precedenza, nel 2006, quando le urne, come adesso, rimasero aperte solo di domenica, votò il 59,16%. Prima ancora, nel 2001, la percentuale era stata del 63,47%. Il Comune con la percentuale di affluenza più alta è Maniace (Catania) con il 77,76%, quello con la più bassa, invece, Acquaviva Platani (Caltanissetta) con il 20,68%. 

La Provincia con la percentuale di affluenza più alta è Messina, con il 51,32%, quella con la più bassa Caltanissetta con il 41,34%. L'elezione è a turno unico senza ballottaggio: sarà eletto presidente della Regione il candidato che otterrà il maggior numero di preferenze insieme a 89 deputati regionali.

Le 50 sfumature di grigio di un uomo controverso

Un poeta guerriero pronto a rischiare la vita per gli altri, oppure un accentratore incazzoso che si nutre d'immagine? Forse di tutto un po'. Ma chi vuole sapere chi è davvero Rosario Crocetta, nuovo presidente della Regione di Pd e Udc, deve per forza andare a Gela. La città di "Saro" (qui se lo chiami Rosario rischi che non lo riconoscano), lo specchio della sua vita, delle sue passioni e delle sue contraddizioni. 

Tutto senza sfumature: o bianco o nero. Come quella volta in cui Saro, all'elementare tornò a casa in lacrime: «Il maestro – rivela il fratello Totò, ex senatore del Pci – gli aveva spiegato la teoria del Big Bang, ma qualche giorno prima i preti gli avevano detto che fu Dio a creare il mondo. Lui non si dava pace, voleva un'unica risposta». O bianco o nero. La sua prima casa, dove naque 61 anni fa, è in via Cairoli nel centro storico. Padre vigile del fuoco, madre casalinga. "Ma poi papà – racconta il fratello – entrò nei "servizi discontinui": lavorava nella cabina di proiezione di un cinema, lo stipendio si ridusse da 40mila a 12mila lire al mese. E mamma cominciò a fare la sarta per arrivare alla fine del mese". 

Poi il trasferimento nelle case popolari di Villaggio Aldisio, dove l'oratorio dei salesiani era un'oasi nel cemento. E lì i Crocetta crescono a pane (poco) e cristianesimo di strada (molta). Per poi scoprire, un giorno, il comunismo. Prima il fratello, più grande di 10 e anni, e poi il giovanissimo Saro. Che però vuole farsi le sue esperienze, girare il mondo. Entra come informatico in un’azienda del gruppo Eni, "ma nel suo ufficio – ricordano in Raffineria – c’è stato poco e niente". Saro gira in Italia e in Africa, poi torna. E ritrova la politica. Prima assessore del sindaco Gallo, che nel 1998 sconfisse proprio Totò Crocetta, sostenuto da Saro consigliere più votato, che poi tornò in giunta con il vincente. Una carriera inarrestabile sulla pelle del fratello comunista perdente? "No, non mi sentii tradito – ricorda il diretto interessato – ma all’epoca non condivisi la sua scelta. Ma forse alla fine aveva ragione lui... ". 

Crocetta, ormai, è un treno in corsa. Da assessore a sindaco ulivista nel 2003, per mano del Tar che ribalta il risultato di un anno prima, togliendo 500 voti all’avversario di centrodestra. E lì comincia la primavera gelese: "Un'antimafia dei fatti, vissuta giorno e notte sulla propria pelle", ricorda Elisa Nuara, vicesindaco e amica da trent’anni. "Lo conobbi quando insegnava ai minori a rischio, facendo lezione a Natale e a Pasqua per non far trascorrere loro le feste in istituto. È stato sempre così: parte da solo e poi trascina tutti. Era sotto scorta perché i mafiosi volevano ucciderlo, il municipio era pieno di poliziotti e metal detector, ma lui riceveva cittadini fino all'una di notte, con la porta sempre aperta". Ma c'è un difetto, in questa quasi-beatificazione? "Vuole fare tutto lui... E poi talvolta è imprudente". 

O bianco o nero. Soprattutto per Gela. Che lo ha visto nascere, crescere, fuggire, tornare, lottare. Contro la mafia che voleva morto "quel comunista finocchio", contro un sistema che Crocetta ha smantellato; e di questo tutti gliene rendono merito, compresi i suoi più acerrimi avversari politici. Che però aggiungono come l'aspirante "sindaco della Sicilia" non sia poi riuscito a proporre un modello alternativo: "Cosa ha fatto per Gela? Fatevi una passeggiata e quella è la mia risposta", ironizza Giovanni Scaglione, il rivale "detronizzato" proprio da Crocetta nel 2003. "Si è esposto per la legalità, ma poi è stato bravo a costruire la sua carriera personale, abbandonando Gela al suo destino. Senza proporre un modello di sviluppo alternativo all’industria, alla quale Crocetta è stato sempre subalterno: gli hanno fatto pure una fontana, quelli dell'Eni... ". E Carlo Varchi, presidente dell'associazione "Cittadini attivi": "A parte la battaglia per la legalità, che nessuno gli toglie, poi tanto fumo negli occhi e pochi fatti: non ha fatto crescere la città, ma lui sì che ha spiccato il volo. Qualche esempio? La ricca consulenza al massmediologo Klaus Davi per la comunicazione di Gela, poi diventata la grancassa del sindaco.

E poi le feste e i balletti, i soldi alle associazioni amiche e le porte chiuse a chi non era con lui. Fino alla sparata dei 24mila posti di lavoro, altro fumo negli occhi... ". Un perenne odi et amo catulliano, l'essenza stessa di Saro. In municipio ricordano le grida feroci e le carte in aria, i giornalisti all’alba venivano svegliati dai suoi cazziatoni: "Du’ Geffer, mi facisti pigghiari", urlava a chi scriveva male di lui. Ma ti raccontano pure degli "ultimi" aiutati, dei "ragazzi fuori" strappati alle cosche; ti giurano che lui, Saro, "una lira in tasca non se l'è mai messa". O bianco o nero. Anche nella sua omossessualità: "Mai nascosta, quasi ostentata fino all'elezione a sindaco, dopo di che ha tenuto un profilo bassissimo", raccontano in città. Oggi il suo stato civile è single, confermano dal suo "cerchio magico". 

Eppure, magari su consiglio di qualche guru, Crocetta l'ha usata quest’arma mediatica. Prima per costruirsi un'immagine di Nichi Vendola alla siciliana, poi per avere le prime pagine di tutti i giornali col suo fioretto: "Se vinco non faccio più sesso, mi considererò sposato con la Sicilia". Per chiedere infine alla stampa il rispetto della sua privacy: "Parlo solo di programmi". Ma forse nella biografia non autorizzata di Crociata c’è una pagina che non è o bianca o nera. L’outing di Silvana Grasso, scrittrice e ora donna da reality, confessò al sito di Franco Grillini, leader storico dell’Arcigay: "Con Crocetta ebbi una grande storia d’amore. Platonica? No, direi omnicomprensiva. Lui è intellettualmente omosessuale, come gli antichi Greci". 

Una passionaccia etero, ripescata da Libero qualche settimana fa. Forse è la vendetta postuma di una donna rifiutata ("Non è l’unica a cui ha fatto perdere la testa", sussurrano i gelesi) che arrivò a recapitare un immenso peluche di coccodrillo in municipio. O magari una delle tante – cinquanta? – sfumature di grigio di un uomo controverso. Che in fondo non è soltanto o bianco o nero.

Lampedusa, sequestrate mega-ville 
C'è anche quella di Baglioni


Ville sequestrate a Lampedusa. Sigilli anche alla villa di Claudio Baglioni. Ma il cantautore non risulta tra gli indagati. Tra cui ci sono invece l'ex soprintendente dei Beni culturali e il direttore della Casa Museo di Pirandello.

Villa Baglioni Lampedusa
La Villa di Baglioni ancora in costruzione


LAMPEDUSA (AGRIGENTO)-Novanta indagati e edifici e ville sequestrate: è il bilancio di un'operazione antiabusivismo a Lampedusa, coordinata dalla Procura di Agrigento. La Guardia di finanza ha messo i sigilli anche alla villa della società Cala Creta in cui abita di Claudio Baglioni. Il cantante non è tra gli indagati. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip Albero Davico su richiesta del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e del sostituto Luca Sciarretta.

Al centro dell'inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Agrigento Renato Di Natale, ci sono i lavori di edilizia compiuti negli 40 anni a Lampedusa, dalle lottizzazioni avviate agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso ad oggi agli interventi successivi alla costruzione. Le irregolarità sarebbero emerse da indagini della Guardia di Finanza e da consulenze tecniche disposte dalla Procura e per questo il Gip ha accolto la richiesta di sequestro di aree, fabbricati, terreni e opere appartenenti, a vario titolo, ai 90 indagati, per la maggior parte proprietari di immobili o società immobiliari e edili, e ad altri soggetti non coinvolti nell'inchiesta.

Il Gip ha ritenuto sussistente il concreto ed attuale pericolo che la libera disponibilità delle aree e dei fabbricati oggetto della indagine possa aggravare le conseguenze delle gravi condotte di lottizzazione abusiva accertate, e agevolare la commissione di altri reati, connessi al processo di speculazione edilizia. Indagini sono in corso da parte della Procura della Repubblica di Agrigento anche in relazione ad altre ipotesi di reato, in particolare contro la pubblica amministrazione: accertamenti sono in corso all'Ufficio tecnico del Comune di Lampedusa e alla Soprintendenza ai Beni culturali di Agrigento.

Gli indagatiTra i 90 indagati dell'inchiesta della procura di Agrigento per presunte lottizzazione abusive a Lampedusa figurano anche l'ex soprintendente ai Beni Culturali di Agrigento Gabriella Costantino, il direttore della Casa Museo Luigi Pirandello Vincenzo Caruso e l'ex capo dell'Utc di Lampedusa Giuseppe Gabriele. Le accuse formulate dalla Procura di Agrigento, a vario titolo, sono di lottizzazione abusiva. La maggior parte degli indagati non sono agrigentini. Molti vivono a Roma, Milano, Udine, Ferrara, Brescia, Modena, Monaco di Baviera. Altri, ancora, a Palermo, Catania, Agrigento. Una parte residuale è nato o vive nell'isola.  

Omicidio di Vanessa Scialfa-Il difensore chiede al Gip di convocare i vicini di casa e gli amici di Vanessa e Francesco Lo Presti

Enna. L’Avvocato penalista Antonio Impellizzeri, difensore di Mario Francesco Lo Presti, convivente ed omicida della giovane Vanessa Scialfa, ha inviato una nota al Gip presso il tribunale di Enna, Maria Luisa Bruno perché nell’ambito dell’incidente probatori sull’omicidio di Vanessa Scialfa, di cui è indiziato Mario Francesco Lo Presti, attualmente ristretto nel carcere Pagnarelli di Palermo, dove si chiede, che a seguito di indagini difensive effettuate dal penalista di Valguarnera, di voler interrogare degli amici e vicini di casa di Vanessa e Francesco per meglio chiarire le vicende che hanno portato all’omicidio e che potrebbero riferire circostanze utili alla difesa ed all’accertamento della verità. Le persone chiamate a testimoniare sono Stefano Timpanaro, Roberta Messina, Valentimno Fazzi, Mario Di Dio,Maria Savoca, Nunzia Savoca, questi ultimi tre abitano nello stesso immobile dove abitavano Vanessa e Francesco. Queste persone erano state convocate dall’avvocato Francesco Impellizzeri il 18 giugno scorso ma non rilasciavano alcuna dichiarazione all’avvocato Impellizzeri e dire che questi testimoni sono in grado di fare luce e chiarire i rapporti che c’erano tra i due prima dell’omicidio. In particolare l’avvocato Impellizzeri evidenzia che Stefano Timpanaro e Roberta Messina avevano assistito ad una lite tra Vanessa e Francesco il venerdì Santo di quest’anno, dietro il Banco di Sicilia ed in particolare se ha visto Vanessa colpire al naso con una bottiglia di birra Francesco; Valentino Fazzi dovrebbe dire se ha assistito, essendo in macchina con loro, Vanessa prima parlare con l’ex moglie di Francesco e, poi entrata in macchina picchiare Francesco. Mario Di Dio, Maria e Nunzia Savoca, abitanti nello stesso condominio di via Gallina assistere alle continue liti tra i due. L’avvocato Impellizzeri sostiene che appare necessario procedere all’assunzione delle testimonianze di questi soggetti al fine di chiarire i rapporti tra Vanessa e Francesco per cui è necessaria la loro convocazione in tribunale per essere interrogate.

domenica 28 ottobre 2012


Il voto secondo Cuffaro



A pochi giorni dalla prima tornata elettorale da quando l'ex presidente è in carcere, Stefano Di Michele l'ha intervistato per l'inserto del sabato del Foglio. Da Micciché a Musumeci, da Crocetta al partito dell'astensione, ecco che cosa dice a chi si candida a sedere sulla poltrona che fu sua.

Il voto secondo Cuffaro
ROMA- "Voi conoscete la storia della cornacchia? Sapete perché una volta era bianca e bellissima e adesso è nera e sospettosa?”. Prati e alberi intorno al nuovo complesso carcerario di Rebibbia sono pieni di cornacchie – che con diffidenza osservano gli umani, se ne tengono a distanza, ne scrutano con guardingo fremito l’avvicinarsi. Dalla finestra della sua cella il detenuto Cuffaro Salvatore detto Totò – detto di più: Totò o Vasa Vasa – guarda le cornacchie. “E’ tutta colpa di Apollo…”, dice. Ma ad Apollo e alle cornacchie e a un’antichissima storia di tradimenti (ché sempre una storia di tradimenti s’incontra, tra gli dei esattamente come tra gli uomini) torneremo più avanti – perché il volo di quelle cornacchie ha prima occupato l’orizzonte scomposto dalle sbarre e poi la mente di Totò. Ha un maglione blu, un block notes e una matita, l’ex presidente della Regione Sicilia. In cella di molte cose si scopre un uso diverso – perciò la matita e non la biro, perché Totò scrive di notte, ché di notte dorme poco Totò – due ore appena, forse tre, e del resto non più di quattro prima, quando regnava dalla magnificenza di Palazzo d’Orleans, dentro uno sfavillìo di barocco e di oriente, come ora dentro la cella che con altri tre detenuti divide. E la notte, quando pure le cornacchie il loro nero nel nero del buio silenzioso cacciano, Totò scrive: con un cilindro di cartone di un vecchio rotolo di carta igenica occulta e dirige la luce di un lampada perché con colpisca il sonno dei compagni di cella, sdraiato sulla branda, con lo sguardo che corre lungo quel sottile filo luminoso, scrive. Ma appunto, ecco la matita: perché la biro, dopo un po’, in quella posizione smette di funzionare, la matita no, non lascia dietro nemmeno una virgola, non si arresta mai. “Perciò, ecco la mia matita, sempre con me”.

Oggi si vota, in Sicilia. L’antica sua corte è ancora tutta lì – tra piazze e speranze e giochi di specchi dove l’antica arguzia si mischia e si scioglie in nuove furbizie – che cerca, che promette, che implora. E’ lì Lombardo, è lì Miccichè – che con Totò Vasa Vasa “dante causa” governarono, e che molto e ferocemente si detestarono (si detestano) e che entrambi da Totò hanno preso distanza e opposto pietrosi silenzi e mostrato profonde dimenticanze, “non riesco a capire cosa oggi li tenga insieme, è la risposta opposta a quella che avrebbero dovuto dare”. E niente del nuovo (simile all’antico) mischiare e rimestare della politica siciliana pare convincere l’antico dominus che fissa la punta della sua matita: quelli dell’Udc e del Pd con Crocetta, Miccichè con il vecchio disamore. E forse allora meglio, “pur se non condivido”, stando alla logica, stando ai “valori” – circola ancora, anche qui nelle stanze del nuovo complesso Rebibbia, questa parola inquieta e inquietante – meglio comunque di quelli Orlando e Vendola e Di Pietro, e di là quelli che stanno con l’ex missino Musumeci, “pur se c’è stata una forzatura sulla persona, un rappresentante troppo spostato a destra”. Alla fine, questo Pdl siciliano di molti trionfi e di molti sprofondi, ha sempre dovuto scegliere un “Papa straniero” per il seggio più alto: così fu Totò, quando fu, così è stato Lombardo, così magari sarà Musumeci. Totò sorride: “Più che Papa straniero, adesso siamo al Papa nero”. Dice che finirà così, colui che di tutti questi giochi distribuì le carte e fu mazziere: “Molti non andranno a votare, molti sceglieranno la protesta, molti non sanno cosa votare”. Racconta Miccichè di se stesso: “So di essere la persona più odiata da Alfano. Cosa peraltro ricambiata. Ha avuto dei comportamenti da animale…”. L’odio, Cuffaro, l’odio – lo pratica, da dentro la sua cella? Ne prova per i suoi antichi sostenitori? “L’odio… Vi racconto una cosa. Andai a trovare Nino Gullotti, un grande maestro per me, pochi giorni prima che morisse… Andai per lamentarmi, con rancore, anche, di un presidente famoso per essere stato praticamente tutto senza avere nemmeno un voto. Lui mi guardò, stava malissimo… Giovane amico, mi disse – allora ero giovane anch’io, adesso, invece… – ricorda che in politica è già difficile avere sentimenti… e qui fece una lunghissima pausa, quasi non avesse più fiato, poi concluse: figurarsi i risentimenti… Ciò valeva ieri, e vale soprattutto adesso”.

Mentre qui dentro Totò ricorda – e volano le oscure creature nel cielo di fronte – e il suo è un vagare tra le cose fatte e l’aggirarsi con la memoria tra rigassificatori e termovalorizzatori, poi uno scuotere mesto della testa. “Di Lombardo accetto il tradimento politico, quello va messo nel conto, è fuori discussione, ma quello che proprio mi ha ferito è il fattore umano, il tradimento dell’amicizia. Mi sono sforzato per capire, e non ho capito…”. Faceva molto, Cuffaro, quando era presidente – pure Miccichè lo ricorda e glielo riconosce. Ma poi, dice così, si circondò di “gente terrificante”. Di chi si era dunque circondato? “Ho fatto mille errori, per i tanti errori fatti meriterei di pagare. Ma come dice l’Alfieri nel 'Saul', sol chi non fa non fa uno sbaglio. Ho certo errato, mi sarò anche circondato di persone sbagliate, ma terrificanti, ecco, mi pare eccessivo… Io rispetto le sentenze della magistratura fino all’ultimo giorno, perché qui mi faranno fare fino all’ultimo giorno. Ma vedete, giusta o sbagliata che sia, una cosa è certa: che io, culturalmente prima ancora che politicamente, non ho voluto favorire la mafia…”. La mafia, ecco, la mafia: specchio e insieme pantano della Sicilia e della sicilianitudine – e a volte le cose sembrano chiare, mentre più chiare, invece, risultano alla fine quelle che si confondono nella melma del pantano. Sospiro di Cuffaro: “Questa spugna inzuppata e imbevuta, questo humus, questo concime… Non è che non ci sia il fenomeno, per carità, in Sicilia c’è…”.

E’ tornato nel suo paese, a Raffadali, qualche giorno fa, Totò Cuffaro – a visitare suo padre gravemente malato, ed è stato sorprendentemente accolto dagli applausi per strada. Ha detto una donna, agli agenti che lo accompagnavano: “Trattatelo bene, è la storia della Sicilia”. Cuffaro – l’antico potente che qui dentro ha scoperto la superiorità della matita sulla penna – ha un moto di orgoglio. Misurato, non baldanzoso, piuttosto sussurrato: “Ho trovato due persone, su delle sedie a rotelle, che mi aspettavano dietro casa per salutarmi. Sono cose che aiutano ad affrontare il carcere, danno la possibilità di resistere”. Diecimila lettere dice di aver ricevuto, da quando ha varcato la soglia della sua cella. “Trenta, quaranta lettere al giorno. C’è una signora, si chiama Antonella, che mi manda una cartolina tutti i giorni, ma davvero tutti. Ormai siamo già a quota settecento. ‘Le terrò compagnia ogni giorno del suo tempo privato della libertà’, mi disse. E continua a scrivere: dalla Norvegia, dalla Germania, persino dalla Cina…”. Non è umiliato, Cuffaro, dalla galera. Non si lamenta, non piagnucola, non professa innocenza ormai inutile da buttare sul piatto della bilancia della giustizia. Ci furono i giorni un po’ matti, un po’ sconsiderati, di vassoi di cannoli grandi come pescherecci che impropriamente vagavano – per imprudenti e improvvidi festeggiamenti. Tutta la frenesia di un’esistenza, tutto il vasa-vasa su mille e mille facce, tutto quel farsi notte e quasi l’alba nell’ufficio presidenziale, “ricevevo persone fino alle due, alle tre di notte, magari gente che aspettava dalla cinque del pomeriggio. E a volte entravano, e non chiedevano niente. E io dicevo: ma allora perché non andate a casa, e uno mi rispose: ma tu vuoi privarmi del piacere di essere entrato nella stanza del presidente della Regione e di aver preso il caffè con lui? La gente ha bisogno di sentire certe cose, era un bellissimo sacrificio, un arricchimento umano, e quei cinque minuti diventavano magari il ricordo di tutta la loro vita…”. O era solo il cuffarismo, presidente. Parola destinata alla dannazione – e Cuffaro lo sa. Al rogo. A farsi cenere. E cenere, poi, da disperdere per sempre nel vento. Che non ne resti traccia, che non un briciolo ne resti – affogata nell’altra cenere dell’Etna, spersa nel mare insidioso. Ancora adesso, in Sicilia, gli uni con gli altri, candidati di destra e candidati di sinistra e candidati di non si sa cosa, si rimballano il peccato originale del cuffarismo, della clientela… “…o della capacità di stare in mezzo alla gente, era anche questo” – ma che sempre sia dannato chi il cuffarismo praticò e chi dal cuffarismo fu praticato, “abbasso il cuffarismo!”, si urla lo stesso e sempre nelle piazze – mentre Cuffaro Salvatore detto Totò detto Vasa Vasa, è detenuto a Rebibbia da due anni, fine pena 2016.

Su ogni cosa che ha perso – il potere, i privilegi, il barocchismo da vicereame spagnolesco – dentro questa stanza di sbarre alle finestre e di porte sbarrate Totò fa spallucce. Come quando apre il biglietto di un amico, e prima fissa il gentile ispettore della penitenziaria che ci accompagna e chiede “scusi, lo posso tenere?” – ecco, pare seguire un nuovo ritmo, ben oltre l’obbligo delle regole imposte. Osserva con attenzione oltre il tavolo: “Se potessi tornare a far politica…”. Non potrà mai più tornare a fare politica, Totò Cuffaro – e forse gli sopravviverà il cuffarismo, e per qualcuno sarà specchio dove resterà imprigionato, per altri pantano dove come rospo o rana andrà a confondersi. Come essere cesarista, come essere felliniano, come essere arabo (“lo sai che il mio cognome, Cuffaro, ha origini arabe?”) o normanno o mastro-don-gesualdiano, così sarà, il cuffariano che verrà – ché sempre, inevitabilmente verrà. “Non posso più fare politica, mi hanno interdetto. Non posso più. E’ come una pena dantesca, per me. Non è possibile, lo so, ma se tornassi a fare politica rifarei la politica esattamente come l’ho fatta fino al momento del carcere. Per gli altri. Con il cuffarismo che chiamano spregevole, bieco, con l’abbraccio e il bacio… Certo, salvo tutti gli errori che ho fatto…”. E’ il momento del contrappasso, forse uno dei rari momenti di forte malinconia nello sguardo dell’ex presidente di Palazzo d’Orleans. “La politica era tutto per me, non potrò più fare politica”, si ripete. “Non potrò votare, né farmi votare… Però non mi sento sfortunato, credetemi…”. E cosa farà, uscito da qui, tra quattro anni? “L’agricoltore…”.

Totò che sempre la Madonna pregava – e che sempre la Madonna prega, e qui dentro, dice, molto pensa e ancor di più prega – pare in certi momenti aver afferrato, con lo sguardo sulle cornacchie, oltre le sbarre, al filo di luce che cala soffuso dal cilindro del rotolo di carta igienica, qualcosa di certe filosofie orientali, zen, buddhiste – acquisire l’essenziale nel momento della massima spoliazione. “Io so che ho un limite alla mia pena, ho chi mi aspetta, chi mi viene a trovare, chi mi scrive, chi mi pensa… Qui dentro è pieno di gente che non ha nessuno, che nessuno viene a trovare per mesi o per anni, gente che nessuno viene a trovare mai, gente che ha scritto ‘fine pena mai’ nel suo destino. Perciò ho il dovere, oltre che il diritto, di guardare al futuro…”. E’ entrato pieno di paura, di tremori – il cuore a mille, il potente spogliato e buttato nell’arena tra le bestie feroci – Totò Cuffaro qui a Rebibbia. “Sono entrato con il terrore, davvero. Sapete, quelle storie dei detenuti con il coltello, degli agenti con il manganello, di certe forme di violenza… E invece sono stato trattato benissimo: gli agenti sono i nostri unici amici, se non ci sono loro molte cose non le possiamo fare, con i detenuti c’è solidarietà, qui è tutto tranquillo, tutto così strano rispetto a fuori…”. Quasi più tranquillo e rassicurante qui che a Palazzo dei Normanni… Lampo nello sguardo, Cuffaro, ricaccia la stupidità dell’osservazione: “Credimi, è più facile imparare a fare il Presidente della Sicilia che il detenuto… E’ solo che le cose che fuori sono normali qui non lo sono più…” – appunto: scusi, superiroe, posso tenere questo biglietto?

Ha scritto un libro – nel poco sonno che, al contrario di Prospero nella “Tempesta” shakespiriana, circonda nella piccola cella la vita del detenuto Cuffaro Salvatore, nella poca luce, nel giorno che mai finisce. E ha trovato un titolo bellissimo: “Il candore delle cornacchie”. Candore? Sono neri e oscuri, quegli uccelli che vediamo dalla finestra… “Ma una volta erano bianchi”, racconta Totò. Succedeva nel mito, ad Apollo: erano candide e amichevoli, le cornacchie ora nere e diffidenti. Così belle che Apollo le pose a guardia (a spia?, a delazione?, a sbirresco destino?) della fedeltà della sua amata. Ma l’amata con l’umano la tradì – e l’ira del dio colpì lei, e colpì i poveri volatili, che divennero da neve cenere, da luce buio, dallo stupore al disprezzo. E di cornacchie – di come furono e di come divennero – il libro di Cuffaro (“ma è lungo, chissà se lo pubblicheranno”) parla. “Racconta la mia esperienza di un anno e mezzo di galera, e le storie di alcuni miei compagni di pena. I fili della mia vita qui dentro che si collegano ai fili della mia vita prima del carcere. Sono impressioni, riflessioni, vicenda, vita intima, ho spostato il mio sguardo di pregiudizio… I detenuti osservano il mondo esterno, lo desiderano, ma lo fanno anche nella speranza che il mondo esterno possa osservarli a sua volta, ricordarli e occuparsi di loro. I politici possono fare anche cose importanti per loro, senza venire qui dentro come è successo a me. Ma forse il carcere non si capisce se non si vive…”. Si ferma per qualche minuto, Cuffaro. Osserva i visitatori, l’ispettore che in un angolo osserva noi, le cornacchie che tutti ci fissano da laggiù. “Anche i detenuti, così come le cornacchie, sono stati semplici e puri. La giusitiza li ha affidati a queste celle, ora che sono scuri, perché venissero conservati, ma io ricordo sempre che sono stati candidi anche loro… In questi due anni qui dentro, mai mi sono accorto di stare in mezzo a dei criminali…”, sorriso e pausa ironica, “… a parte che criminale sarei anch’io… mi sono accorto di stare in mezzo a delle persone, a degli uomini, che nonostante il carcere non sia facile da vivere, cercano di mantenere la loro dignità… Sarebbe il momento di provare a cancellare almeno la pena dell’ergastolo, quel ‘fine pena mai’ che non dà scampo…”. A volte ci sono celle, si racconta, con sette, otto detenuti, e una sola latrina. “Noi siamo in quattro, e loro diventano il tuo mondo: i momenti intimi, le gioie, andare al bagno senza fare rumore, così psicologicamente qualche problema c’è… So che quando andrò fuori da qui porterò con me un grande ricordo, c’è un segno che rimane dentro per sempre di sofferenza e di dolore e di umanità…”.

Ha un regime carcerario più ristretto degli altri, articolo 7, poi articolo 4/bis, per aver favorito la mafia. “E’ tutto più rigido, né permessi né servizi sociali. Solo due telefonate al mese, che faccio ai miei genitori, e solo quattro ore di colloquio al mese. Mia moglie e i miei figli vengono tutte le settimane dalla Sicilia, per un’ora di colloquio. Gli dico di venire solo una volta ogni due settimane, ma egoisticamente non glielo faccio fare… Sono passati molti parlamentari, di tutti i partiti… Io ho avuto la fortuna di avere dei genitori praticanti, e qui dentro mi è successo in qualche modo di rincontrare la mia anima, di cui fuori non avevo modo di occuparmi…”. E nel 2016, a parte prendersi cura di pomodori e uva, cos’altra vorrà fare Totò Cuffaro? “Intanto laurearmi in giurisprudenza, ho dato già diversi esami… Poi penso a tutte le cose che non ho fatto fino ad ora. Starò molto più vicino alla mia famiglia: io non ho visto i miei figli crescere, non ho visto mia figlia laurearsi tre mesi fa… Certo, alla laurea non potevo essere presente, ero qui dentro, rinchiuso, non è colpa mia; ma non ricordo neanche quando mio figlio ha fatto dieci anni, non c’ero, chissà dove mi trovavo, e quella una mia colpa”.

In un’altra stanza, ci sono i familiari venuti dalla Sicilia che aspettano. “Lo sapete che mia figlia farà il magistrato? Una sorta di nemesi storica. Io sarò agricoltore, ma con la mia laurea in giurisprudenza le starò vicino, le ricorderò che ha un compito straordinario, per il quale serve la testa e serve il cuore. Non puoi fare il lavoro di magistrato né solo con la testa né solo con il cuore…”. C’è un velo di commozione, nello sguardo dell’uomo che fu il più potente della Sicilia. “E’ come se mia figlia avesse sconfitto la mia sconfitta… Non c’è, e forse non ci sarà più, pace, ma almeno adesso una certa serenità… Ripeto spesso, dentro di me, una frase di Juliàn Carròn: ‘Il cuore è il fattore che ci rende uomini’. E’ quello che muove la vita, che costruisce le opere di bene, che costruisce la positività… E’ il cuore che aiuta a prendere, di ogni esperienza, il lato positivo. Anche qui, adesso. Anche stasera, in cella”. Legge molto, oltre che scrivere molto, il detenuto Cuffaro. Ha letto il libro di Pietrangelo Buttafuoco “Le uova del drago” (“ma senza copertina: era rigida e il regolamento impone di strapparla”), ha riletto “La montagna incantata” di Thomas Mann, ogni tanto “I promessi sposi”, infine la scoperta delle “Consolazioni della filosofia” di Boezio. Totò Cuffaro si alza, va verso la porta. Sposta in filo dentro un filo di luce. “Il sorriso non è più quello di prima, è più cupo, più triste, lo vedete… Ma credetemi, a volte ci sono dei doni inattesi di umanità che ricevi e che nessuno ti potrà più togliere. Anche qui, dentro un carcere”.

sabato 27 ottobre 2012

Le ultime volontà nel testamento:
«La mia vagina scolpita sulla tomba»

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L'immagine della vagina sulla tomba (Dal Thesun.co.uk)
ROMA - Non ha voluto dimenticare nulla di lei. Compresa la parte che ha contribuito alle gioie di 50 anni di vita coniugale. Così sulla tomba-mausoleo dedicata alla moglie è stata scolpita anche la vagina della donna morta tre anni fa
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In Serbia quel mausoleo è diventato motivo di attrazione. Milan Marinkovic, un camionista in pensione di Velika Krusevac, assicura che è stata lei, Milena, a chiedere di far scolpire sull'inusuale tomba proprio quel particolare anatomico per essere sicura che Milan non vada mai in cerca di “un'altra donna”. Così sulla particolare sepoltura, costata oltre duemila euro, è comparsa “chella ca nun vede o' sole”.

“La maggiore difficoltà – racconta Marinkovic – è stata trovare uno scultore, perché tutti si rifiutavano considerando la cosa blasfema. Ora che è stata completata mi piace. E in questo modo, a parte le ultime volontà di Milena, sarà sempre con me”. Secondo quanto riportano i media serbi, è lo stesso Milan a vantare che “dal funerale all'anniversario della sua morta, la gente viene a vedere la vagina di mia moglie”.

Non tutti capiscono al volo la natura dell'originale scultura. Tanto che il fratello di Milena ha domandato meravigliato a Marinkovic: “Bello quell'uccello che hai fatto scolpire sulla tomba, ma mi spieghi perché ha una spaccatura nel mezzo così larga?”.

Fumo, sesso e alcol: più tumori tra i giovani. Allarme degli oncologi

Un paziente su 4 ha meno di 30 anni, mentre 10 anni fa i malati under-30 erano uno su 20

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ROMA - Fumo, alcol, sedentarietà, alimentazione sbilanciata, eccessiva esposizione al sole e alle lampade solari, sesso non protetto e doping. Gli oncologi li definiscono i '7 vizi capitali', ovvero cattivi stili di vita che stanno contagiando sempre di più i giovani. E le conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti: ci si ammala prima rispetto a soli venti anni fa. Infatti, per varie forme di tumore si è abbassata l'età di insorgenza.

A lanciare l'allarme sono gli oncologi dal XIV Congresso Nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) in corso a Roma: i giovani, avvertono, sono sempre più a rischio di ammalarsi di tumore poichè ignorano la prevenzione. Bastano alcuni esempi, rilevano gli esperti, per comprendere il 'pesò che i cattivi di stili di vita possono avere nel favorire in alcuni casi lo sviluppo di un tumore: Negli ultimi 10 anni, il melanoma è aumentato del 30%, con 7.000 nuovi casi e 1.500 decessi l'anno. I più colpiti sono proprio i giovani: oggi un paziente su 4 ha meno di 30 anni, mentre 10 anni fa i malati under-30 erano uno su 20. Tra le cause, affermano gli specialisti, anche l'eccessiva esposizione al sole o alle lampade solari. Ancora: la liberalizzazione dei costumi sessuali ha provocato un aumento, soprattutto nei giovani, dell'insorgenza dei tumori alla cavità orale, che In Italia contano 10-12 mila casi nuovi l'anno.

Per la prima volta, inoltre, una recente ricerca della Washington University School of Medicinedi St.Louis (Usa) ha dimostrato una correlazione tra il consumo eccessivo di alcol e l'aumento dell'insorgenza di tumori alla mammella nelle giovani donne con storia familiare legata a tale patologia. Oggi, afferma il presidente Aiom Stefano Cascinu, «un ragazzo su 4 fuma 20 sigarette al giorno, un diciottenne su 7 si ubriaca nei weekend, il 20% dei giovani è sedentario, il 36% obeso. Ma i teenager ignorano che il 40% dei tumori si previene fin da giovani, adottando semplicemente stili di vita più sani. È un quadro certamente desolante e drammatico, che ci impone scelte precise». Come quella, spiega, «di andare in modo massiccio nelle scuole a spiegare che il cancro lo si combatte in classe, e lo faremo con i grandi calciatori delle squadre di serie A». È infatti appena partita la terza edizione della campagna 'Non fare autogol': i calciatori, insieme agli oncologi, diventano professori per un giorno, insegnando agli adolescenti come seguire stili di vita corretti. L'iniziativa coinvolgerà quest'anno tutte le 20 squadre della serie A. Un vero e proprio 'tour' di prevenzione oncologica per la Penisola che toccherà 16 città, dopo le prime due fortunate edizioni. A scuola, purtroppo, sottolineano gli oncologi, «si parla troppo poco di questi argomenti: sappiamo che soltanto il 12% degli studenti è informato. Ma al 90% di loro piacerebbe saperne di più». 'Non fare autogol' gode del patrocinio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI). La terza edizione del progetto è resa possibile da un educational grant di Bristol-Myers Squibb. Gli incontri nelle scuole verranno trasmessi per la prima volta in diretta su Rai Sport, sia sul digitale terrestre che online. Sono mille, finora, gli istituti scolastici che hanno chiesto di partecipare.

Melania Rea, il padre a Parolisi: «Ora devi dirci perché l'hai uccisa»

I genitori della vittima incontrano la sorella del caporal maggiore: «Alla piccola Vittoria abbiamo detto che papà è andato tra i cattivi»

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Parolisi dopo la sentenza (foto Schiazza-Di Antonio-Ansa)
NAPOLI - «Si ravveda, parli, ci dica perché lo ha fatto». Sono le parole del padre di Melania, Gennaro Rea, il giorno dopo la condanna all'ergastolo per Salvatore Parolisi. Rea ribadisce che quello che è successo è
«una sconfitta per tutti». Questa mattina i genitori di Melania hanno avuto un brevissimo incontro con Franca Parolisi, la sorella di Salvatore: nessuna stretta di mano, sguardi piuttosto bassi. «Non lo perdonerò mai», ha detto la donna. Ora il loro pensiero è tutto per la piccola Vittoria: «Le abbiamo detto la verità: che il suo papà è andato in un posto dove vanno le persone cattive».

L'incontro è avvenuto davanti all'uscio di casa dei Rea, in via Pomintella a Somma Vesuviana(Napoli): al centro la piccola Vittoria, solo tre anni, figlia di Salvatore e Melania, che oggi trascorrerà la sua giornata proprio con la famiglia Parolisi. «Lasciateci in pace», ha detto Franca Parolisi ai giornalisti che volevano chiederle un commento sulla sentenza di ieri.

Non hanno dormito neanche un secondo Gennaro e Vittoria Rea. Hanno parlato, quello sì, tantissimo. Il giorno dopo la condanna di Parolisi. Gennaro non fa che ripetere questo: «E' inconcepibile». Oggi, dopo l'ergastolo, c'è una cosa che il papà di Melania non fa che chiedersi e chiedere: «perché ha ucciso nostra figlia. Come ha fatto a uccidere la mamma di sua figlia».

Ora al centro di tutto c'è proprio Vittoria
: ha solo tre anni, senza la mamma, uccisa, e senza il papà, in carcere con la pena dell'ergastolo. Le prime ore del mattino i Rea le hanno trascorse proprio con la loro nipotina, prima che la piccola venisse affidata oggi alla famiglia Parolisi, secondo le previsioni stabilite dal giudice per i minorenni. «Non mi ha visto per due giorni - ha detto Gennaro - ed ora non vuole che stare con me». Alla piccola «racconteremo la verità, la storia più simile alla verita», spiega Michele Rea, il fratello di Melania. «Lo faremo con l'aiuto degli esperti. Cosa le abbiamo detto? Che il papà è un posto dove vanno le persone che hanno fatto cose cattive», ha aggiunto.

«Salvatore non lo perdonerò mai». Mamma Vittoria ha scosso la testa di fronte a chi gli ha chiesto se un giorno perdonerà Salvatore. Con il marito Gennaro si è recata al cimitero di Somma Vesuviana, pochi minuti davanti alla tomba della figlia. «Se sono contenta? Non c'è niente di cui essere contenti. Se con Salvatore in carcere Melania fosse tornata da me allora sì che sarei stata contenta. Ma Melania da noi non tornerà più. Giustizia, quella sì, è stata fatta», ha aggiunto rivolgendo il suo pensiero principale alla piccola nipotina: «È a lei, solo a lei, che bisogna pensare».

La «verità processuale l'abbiamo avuta», dice Michele Rea. Ora «quello che aspettiamo è di sapere perchè Salvatore lo ha fatto, perché ha ucciso mia sorella», si chiede anche lui, come il padre. Anche se «sono quasi sicuro che non lo dirà mai, perché ad oggi ci ha sempre voltato le spalle». C'è rabbia e dolore nelle sue parole. Ribadisce anche lui che quello che è successo «rappresenta una sconfitta per tutti» così come si dice convinto che «la strada è ancora lunga, ci sono ancora due gradi di giudizio. Io e mia madre ci siamo abbracciati - racconta - in lacrime mi ha detto solo questo, «finalmente la giustizia è arrivata». Solo un'ultima considerazione: «Ho letto le dichiarazioni degli avvocati di Parolisi, su una cosa concordiamo e cioè che Salvatore ha avuto un giusto processo. E quindi perchè ricorrere in appello?».

IL RACCONTO DELLE ELEZIONI

Le paludi di Sicilia

Sabato 27 Ottobre 2012 - 07:00 

La Sicilia va al voto tra contraddizioni e vecchi vizi. Tutto è cambiato eccetto la prima e necessaria urgenza: togliere la Sicilia alla Sicilia. Come sognava di fare il maresciallo di Sedotta e abbandonata di Germi, che cancellava l'Isola dalla carta geografica. Dall'inserto del Foglio di oggi, il grande circo del voto siciliano, da Cuffaro a Lucia Borsellino, raccontato dalla penna di Pietrangelo Buttafuoco

Tra ieri, oggi e domani, in tema di campagne elettorali di Sicilia, qualcosa deve essere cambiato. E non solo perché nel frattempo c’è stato Beppe Grillo, non solo. Traversando con superbe bracciate lo Stretto, il capo di Cinque stelle ha definitivamente convinto tutti della vanità chimerica del Ponte. Se uno di sessanta e rotti anni come lui se la fa a nuoto – questo è il ragionamento – è segno che vince sempre Colapesce.
Il mito sovrasta tutto, anche l’assistenzialismo. Tanti Lupucuvii incarogniti dicevano che Grillo avesse una corda sottacqua e sottopancia per aiutarsi. Il vizio dei siciliani è di saperla sempre troppo lunga per poi perdersi nell’acqua lorda dello scetticismo, ma l’Isola deve ancora svegliarli tutti i suoi miti ed è, ahimè, ancora la stessa del celeberrimo fotogramma di “Sedotta e abbandonata”, il film di Pietro Germi. È quello dove si vede un maresciallo dei carabinieri, insofferente e paziente al contempo, suggestionato all’idea di cancellarla per sempre la bedda Sicilia dalla cartina geografica.

Tra ieri, oggi e domani, tutto è cambiato eccetto la prima e necessaria urgenza: togliere la Sicilia alla Sicilia. Il maresciallo di Germi, infatti, mette la mano sopra la mappa e si gode l’effetto bellissimo di non vederla più quella Triskele seduttrice mentre la Calabria, sola soletta, fa mostra di essere solo un piedino appena ritrattosi dai flutti di Scilla senza più Cariddi.

Tra ieri, oggi e domani – con le chiamate in piazza del popolo sovrano – c’è tutto il racconto ambiguo della conquista e dell’esercizio del potere nella terra irredimibile in assoluto, nella palude del potere qual è oggi ridotta la Sicilia dove i Ludi Cartacei sono solo un concorso pubblico per l’assegnazione di posti cui far seguire – come nell’economia dell’indotto – la fiumana dei beneficiati e dove il ricordo di Verre, il corruttissimo Gaio Licinio Verre, propretore di Sicilia dal 73 al 71 a.C., simbolo di corruzione, ruberie e concussioni, fustigato da Cicerone, è diventato un foglio di versione per il liceo e non più parametro se poi…

E va bene: c’è oggi, ci fu ieri e ci sarà domani. C’è stata la spacchiosissima riforma della sanità avviata dal discepolo di Paolo Borsellino, Massimo Russo che è assessore del governo regionale che chiude i battenti domani. Si rinnoverà il Parlamento, ci sarà l’elezione del nuovo presidente ma le verrine viste in questa campagna elettorale fanno di quelle ciceroniane una cosa tipo acqua fresca. Vedere insomma, dopo tutta la mobilitazione del dottore Russo, vedere dunque, dopo che negli ospedali di Sicilia è stato tutto un fragore di scope nuove, vedere infine, dopo che perfino Lucia Borsellino, la figlia, è stata al fianco del Russo, tutta la buona volontà fatta di efficienza, onestà, dignità e onore risolversi con la scena dei medici costretti a tenere la bandierina in mano è cosa da raccapriccio.

Con il voto di scambio si trova il lavoro e fu cosa di oggi, non di ieri, speriamo mai più domani, quella di trovare dirigenti di aziende sanitarie, primari, aiuti, medici, infermieri e titolari di cattedra fare la ola, a Catania, al cinema Odeon, con gli stendardi del partito autonomista in pugno alla presentazione della candidatura del figlio del presidente della Regione. Questi, un bellissimo ragazzo, era attorniato da vigilantes, uno dei quali con la masticogna in bocca, ma quelli, tutti quelli – mischini!, trattasi dei signori dottori – facevano la processione per farsi almeno scorgere dal dante causa e farsi trovare tutti sorridenti, tutti prodighi di applausi e ben felici di fare sì con la testa. Laureati in piaggeria che non s’avvedono del ridicolo intorno a loro, di questo si tratta, proprio come i cani di pezza nei lunotti della Seicento Multipla che avevano una molla all’interno del collo e venivano adoperati per rallegrare l’ambiente grazie all’effetto inchino…

Ecco, quando si dice il parametro, chi rispetta il cane, rispetta il padrone, un certo confrontaccio potrà sempre farsi. Ieri, oggi e domani, con il qualcosa che è cambiato, non si può fare amarcord se poi la memoria è arma elettorale. Qui si comincia con le dolenti note e si sconfina in zona bestemmia ma chissà quale segreto sentimento avrà spinto Lucia Borsellino, figlia di Paolo, ad accettare di schierarsi con Rosario Crocetta. Del dandy di Gela, candidato del Pd e dell’Udc, non si può dire che abbia dietro il presidente uscente della regione perché, in verità, ce l’ha proprio davanti tanta è lunga la mano del potere e se la blasfemia è qui conseguente, mio malgrado ne conseguo: Lucia, figlia di Paolo, sta con Crocetta; Rita, sorella di Paolo, sta con Giovanna Marano, candidata alla presidenza per Sel e Idv; Salvatore, fratello di Paolo, verosimilmente, preso com’è dalle battaglie del Fatto e dall’ingroismo (frutto dell’insegnamento di Paolo, va da sé), lo immagino dalla parte di Grillo.

Ecco, quando si dice lo sproposito: antimafia che vai, elezione che trovi. E poiché tra ieri, oggi e domani, ogni stagione politica ha i suoi veleni, è così che ogni campagna in Sicilia diventa tutto un andare e venire di scheletri dagli armadi di cui avere solo ripugnanza. E sono teschi che ogni volta allungano il collo come fanno i galli a pizzicare.
Quando si dice, poi, l’antimafia contro un’altra antimafia. Simona Vicari, esponente del Pdl, invita la dottoressa Borsellino a fare una riflessione a proposito di Antonio Malafarina, ex vicequestore, oggi candidato con Crocetta, già poliziotto a Gela al tempo in cui il nostro dandy era sindaco “antimafia”. Ebbene, nel 2003, il Malafarina, in un documento ufficiale della questura di Caltanissetta gridò ma senza fare chiasso, insomma, così scrisse: “Va comunque rilevato, per quanto a conoscenza di questo ufficio, che la campagna elettorale del Crocetta sarebbe stata in parte condotta da Celona Emanuele, oggi collaborante, esponente di Cosa Nostra, appartenente alla cosca mafiosa degli Emmanuello, più volte notato in compagnia del Crocetta che frequentava la libreria del Celona il quale avrebbe reso dichiarazioni in merito a tale supporto elettorale…”.

Ecco, dunque: antimafia che vai, elezioni che trovi. E’ faccenda tipica di Sicilia quella del poliziotto che sposa poi la causa politica del soggetto pedinato. Anche il nostro adorato Totò Cuffaro, all’epoca, mise in lista – per farne un deputato – il maresciallo Antonino Borzacchelli. Era, appunto, un suo pedinatore e deve essere qualcosa di simile a ciò che capita agli agenti dei servizi segreti americani quando, a forza di intercettare presunti terroristi islamici, condividendone le pie giornate, alla fine si convertono e perdono l’impiego. In questo caso, invece, in caso di vittoria elettorale di Crocetta, Malafarina potrà ben impastare nuovo e più lussuoso pane, ripagando con soddisfazione la fatica di un paio di mesi di propaganda con tutti quei manifesti, affacciati di qua e di là dai muri delle città e dei paesi remoti, che da ieri, come oggi e anche domani, si godono la scena. Fosse pure dai muri tutti incastrati tra le viuzze strette e sassose che vanno a spalancarsi tra i canneti e i campi sabbiosi di Gela.

Ieri, come oggi, come domani, ogni campagna elettorale è epica a sé. Ricordo quando, ad Agira, arrivava Lillo Mannino. Intorno a lui la folla si faceva a grappoli, facce nuove di forestieri rammodernavano la piazza immobile, poi, nel resto degli altri giorni. Veniva giusto per far vendemmia di consensi, Lillo, era ministro dell’Agricoltura per la Democrazia cristiana e i vecchi comunisti ne commentavano la scelta con vive congratulazioni: “Lillo è un esperto di cose contadine”. Pancrazio De Pasquale, mitico onorevole del Pci, già presidente del Parlamento siciliano, faceva una glossa sulla parola “esperto”: “Compagni, precisiamo. Lillo non è solo esperto, è ‘sperto”. E sperto vuol dire in gamba, valente, lesto e pratico di una scienza altrimenti sconosciuta presso i sicilianuzzi sempre troppo paesani. Sperto è anche avere l’uso di mondo.

Ieri, oggi e domani. I comizi dei democristiani non toccavano le corde del cuore. Erano più sanguigni i comunisti e – inutile dire – i fascisti. Insuperabili, quest’ultimi, nell’arte della parola. Tutto comincia con Gaetano Laterza, autore anche de “I vice vicerè”, un libro sui protagonisti di Sala d’Ercole, il Parlamento di Sicilia che è anche l’assemblea più antica d’Europa e poi – più avanti nel tempo – la piazza per eccellenza della destra sarà quella di Enzo Trantino, oratore magnifico cui si deve l’invenzione dello slogan reversibile: “L’onore del coraggio, il coraggio dell’onore”. Volle personalmente mettere fine al calembour quando con piglio luciferino Trantino alzò per se stesso la palla alla battuta: “Il culo nella presa, la presa per il culo”.

Domani, oggi e ieri. Ci si stiracchiava pigiati nella mischia dei saluti e degli applausi, i comizianti erano delle vedette e siccome in Sicilia, grazie a Dio, non c’è stata mai la gramigna dell’odio politico, erano più i cori di sfrenata ilarità che le aspre risse consumate sempre sottovoce e magari tra i corridoi dei congressi, dei convegni e dei ritiri spirituali.
Certe coltellate silenziate come quelle date nei conciliaboli dei gesuiti manco al chiuso di una stanza, in un appartamento alla Kalsa, al tempo dell’emiro buonanima, si sono viste perché, infine, ieri, oggi e domani, in Sicilia, è come dire sempre.

I siciliani sono figli di Gorgia, pratici di retorica, battono le mani ai fini dicitori e ai mattatori – come oggi con Beppe Grillo – ma hanno avuto Verre e perciò sono di panza, aspettano la sostanza e l’episodio chiave che ne svela il profondo è quello del viaggio elettorale in Sicilia che si fece Indro Montanelli, nel 1952, accompagnando Sua Eccellenza, l’ambasciatore Filippo Anfuso.

La storia è proprio deliziosa. Immaginate i due, eleganti e spiritosi. Tutti e due alti, foderati di sartoria, e però militari nel passo. Tutti e due con quegli occhi spietati per via delle donne falciate come niente, al loro passaggio in un viaggio lungo, in treno, tra vagone ristorante e scompartimenti. Si pregustano la prima sosta, a Castelvetrano. “Ecco”, dice Anfuso a Montanelli, “stasera io comizierò nel paese di Giovanni Gentile. Abbi cura di non prendermi in giro se farò sfoggio di retorica. Lo sai. E’ questo che la gente vuole: parole al vento”. Il giornalista risponde con un sorriso, arrivano infine, viene sera e si portano nella piazza del comizio. Ed è, come sempre, uno sfoggio di alta oratoria scientemente calibrata da Anfuso per arrivare all’applauso sicuro, ricordando l’illustre concittadino, ovvero Giovanni Gentile. Anfuso evoca il nome del filosofo ma niente, nessun battere di mani. Eppure la piazza mostra come un unico sorriso, tanti passaggi sono fermati dall’acclamazione ma una seconda citazione di Gentile e poi una terza e un’altra volta ancora non riescono a smuovere la folla raccolta intorno al podio. Niente di niente. Zero applausi per ogni volta che viene nominato Giovanni Gentile, un nome, in quel suo paese, che è come un macigno sul petto.

Il comandante della polizia municipale batte l’indice sull’orologio, finisce il comizio, la folla si accalca sul podio e Anfuso, scendendo gli scalini, dal segretario della sezione locale del Msi che pur si felicita si sente dire: “Eccellenza, ma proprio a Gentile doveva nominare nel suo comizio? Fu ministro della Scuola e un favore, una nomina, una promozione, un trasferimento, almeno uno, qui in paese non lo volle mai fare!”.
Ieri, oggi e domani. E chissà che a partire da adesso le campagne elettorali di Sicilia saranno fredde e imperscrutabili come quella che si conclude stanotte, a mezzanotte. Se non ci fosse stato Grillo manco a Villa San Giovanni avrebbero saputo della campagna elettorale in corso. Inutile dire di quello che succederà nottetempo. Mandrie di voti saranno spostate come neanche nel più complicato transumare di stanche vacche dove nessuna si perde e ognuna, pronta alla mungitura, offre la più soda e piena delle mammelle. Stanotte, tutto stanotte si farà perché come ieri, anche oggi e soprattutto domani, è sempre l’ultimo momento quello che cancella vergogna e avvilimento in chi è solito fare gruzzolo anche a dispetto della dignità.

E poi, certo – ieri, oggi e domani – ci fu il fatto di qualche settimana fa, quando Totò Cuffaro è tornato in paese per andare al capezzale del padre malato. E’ stato applaudito e siccome qualcosa deve essere cambiato fa fede quello che mi ha detto l’amico Ciccio, Ciccio Tumeo per la precisione: “Pure io ce li battevo le mani a Totò se solo l’avessi avuto davanti, a Raffadali, sotto casa sua, o sull’aeroplano, scendendo in Sicilia da Rebibbia. Ovunque avessi avuto modo di vedere a Totò che è un amore, un santo cristiano, uno che la galera se la sta sucando tutta e senza dire pio, gli avrei fatto tanto di cappello. E pure io, dunque, non vedo l’ora di darci un bacio a Totò che è, errori a parte, un esempio di cugghiunutu come mai ce ne sono stati specialmente nella Sicilia bedda dove gli uomini di panza, questi bastardi, sono sempre sepolcri imbiancati. Gente che non paga dazio e che della strafottenza ne fa vanto. A Totò che si mangiò i cannoli se lo consumarono tutti i telegiornali, facendolo uomo nero di ogni malefatta. Al suo successore che ancora fino a ieri ha fatto nomine a tinchitè, facendo mangiare denari a tutti i clienti, nessuno ha detto niente, specialmente nella nostra Sicilia dove stiamo tutti col cappello in mano mentre a Totò, il nostro Totò, a cui volentieri tanti ci battono le mani, glieli fanno gli applausi perché – sotto sotto – con lui si celebra ‘u tintu accanusciuti (il cattivo notorio) rispetto al tintissimo (il cattivissimo) che nessuna ventura potrà levarci mai più. Manco queste elezioni dove uscendo dalla porta, il suo successore, rientrerà direttamente dalle fogne delle segrete trattative con tutti i partiti, Pd in testa”.

Ieri, oggi, domani. Cosi? “Così. E se poi ancora c’è qualcuno che si fa venire il sangue in testa pensando a Totò, se ancora ne fanno lo zenit del peggio, se lo odiano e non si fanno la croce con la mano manco davanti a un poverocristo carzarato, è solo perché non hanno ancora elaborato il necessario distacco storico. E si tengono ‘u tintissimo per sempre”.