L’ARCIVESCOVO NON BENEDICE
LA FABBRICA: NON S’HA DA FARE
Non c’è ricordo di un episodio simile nella storia d’Italia: l’arcivescovo di Agrigento, Monsignor Francesco Montenegro, uomo pio e di forte tempra, si è rifiutato di dare la benedizione ad un impianto pilota di trasformazione della kainite realizzato dall’Italkali nella miniera di Realmonte. Un “vade retro Satana” ordinato ad una fabbrica, da parte della Chiesa, non ha precedenti e costituisce un evento unico, perché le sacre gerarchie hanno abbandonato scomuniche e discriminazioni nella aspersione dell’acqua santa.
Veniamo al fatto. Dopo avere celebrato messa con la consueta solennità e folla di fedeli, al fine di rendere omaggio a Santa Barbara – patrona della Marina militare, dei Minatori e dei Vigili del Fuoco – e concesso l’aspersione dell’acqua benedetta negli spazi antistanti la miniera, l’Arcivescovo ha visitato l’impianto pilota insieme con le autorità, ma qui si sarebbe impuntato. Niente acqua benedetta: non ha voluto che l’impianto sperimentale di kainite fosse accolto nelle grazie della Santa. “Non lo benedico, perché nessuno me ne ha parlato prima”, avrebbe spiegato agli esterrefatti dirigenti dell’Italkali. Abbia o meno pronunciato queste parole, il risultato non cambia: i lavoratori dell’Italkali impianti nell’impianto non sono protetti da Santa Barbara per volontà dell’Arcivescovo.
Ironia a parte, il gesto del vesciovo ha assunto una rilevanza simbolica. L’impianto dell’Italkali è oggetto di una aspra polemica a Realmonte, dove sono finora prevalsi coloro che preferiscono affidare la sorte della loro cittadina al turismo e non hanno in simpatia l’industria estrattiva.
Anche il Consiglio comunale si è pronunciato “contro” l’impianto pilota, che – stando all’Italkali –potrebbe dare lavoro a trecento unità (una quarantina residenti a Realmonte).
Il rifiuto dell’Arcivescovo fa dell’episodio una storia degna della fervida fantasia di Guareschi e della saga di Don Camillo e l’Onorevole Peppone, ma non è così: la Cgil locale non vede di buon occhio l’iniziativa dell’Italkali e quindi l’onorevole Peppone sarebbe a braccetto con Don Camillo. Il rifiuto di benedire la fabbrica, che mette insieme le cure dell’anima e quelle del lavoro, avrebbe avuto in Guareschi un fine narratatore.
Ne avrebbe avute cose da raccontare Guareschi. Altro che la Bassa padana…L’Italkali e la kainite, che produce solfato di potassio, sono i protagonisti della turbolenta storia mineraria siciliana,caratterizzata da furibondi scontri politici, diatribe istituzionali, proteste e inchieste con inquietanti risvolti. Basti ricordare la storia della miniera di Pasquasia, che estraeva la kainite, con 1500 lavoratori mandati a casa (in mobilità o altro), che ha fatto perdere la leadership siciliana in Europa in questo settore.
Si raccontò che costava troppo estrarre la kainite, ma la chiusura ebbe una motivazione ben precisa,l’inquinamento del fiume Salso, dove arrivavano le scorie della miniera. Successivamente la miniera, fu “mascariata” dal sospetto , di essere divenuta all’insaputa di tutti un deposito di scorie radiattive. Ispezioni e sopralluoghi non hanno dato ragione ai sospetti.
Della chiusura della miniera, e questo è un fatto, si sono avvantaggiati i paesi produttori di solfato di potassio, primo fra tutti la Germania, che avrebbe messo gli occhi proprio sulla kainite in questi giorni per assicurarsi il 51 per cento di Italkali, di proprietà della Regione siciliana, intenzionata a vendere.
Storia intricata, dunque. Non si sa a chi credere: l’inquinamento c’era, ma si trattava di salgemma, non altro. Le scorie nucleari non sono mai state verificate, mentre l’Italkali, destinata ad uscire dall’area delle partecipazioni regionali, è l’unica azienda pubblica che non è stata foraggiata con risorse regionali, anzi è riuscita a stare sul mercato, nonostante il gap dei costi del trasporto (ai tedeschi costa il 7 per cento del prodotto, all’azienda siciliana il 21 per cento). Una specie di miracolo, dunque, che avrebbe dovuto suggerire a Monsignor Montenegro di aspergere l’acqua santa all’impianto, per non comprometterne definitivamente il futuro.
La kainite dell’Italkali viene lavorata com Dio comanda, per stare nel contesto, e consente all’Italia di restare nel novero – ormai ristretto – di nazioni (undici per l’esattezza) – che producono solfato di potassio. Se la Regione vende ai tedeschi, che con i francesi sono gli unici produttori in Europa, l’Italia sparirà dall’industria estrattiva definitivamente. Non si toglierà un peso, ma un vantaggio.
Se il rifiuto della benedizione dell’Arcivescovo potrebbe essere folklore paesano, il resto non lo è affatto. Il veto istituzionale, e non religioso, all’impianto sperimentale significa impedire ad Italkali di rimanere sul mercato e soccombere alla produzione tedesca, competitiva per via del costo del trasporto.
La kainite avrebbe anche un uso militare perché protegge le testate dei missili, a quanto pare. Fra sospetti di scorie nucleari e missili, si corre il rischio di perdere il contatto con la realtà, che è essenziale, con tutto il rispetto dovuto a Santa Barbara, che pure finora ha dato buona prova di sé a Realmone, visto che non è capitato nulla di grave.
Bisogna capire, anzitutto, quali siano le ragioni del dissenso dei consiglieri comunali di Realmonte, se si tratti di ragioni ambientali o di una scelta fra l’industria e il turismo; se cioè l’industria estrattiva, che ha bisogno di innovazioni tecnologiche per stare sul mercato, debba essere sacrificata sull’altare di uno sviluppo turistico. Ove si tratti, invece, di problemi ambientali, inquinamento, sarebbe utile affidarsi ad agenzie indipendenti perché stabiliscano se l’impianto sperimentale di kainite possa provocare danni all’area prescelta.
Realmonte ha una vocazione mineraria. Può guadagnarsi una vocazione turistica? La comunità locale dovrà esaminare con saggezza le prospetitve concrete, tenendo conto delle difficoltà di reperimento di risorse pubbliche, indispensabili per supportare una vocazione turistica. A meno che, dunque, non ci siano problemi di salute da salvaguardare – nel quale caso non se ne parla nemmeno – Monsignor Montenegro potrebbe ritornare sui suoi passi per regalare l’acqua santa ad una concreta prospettiva di lavoro.
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