lunedì 25 aprile 2011

Villapriolo- Il sacrificio del giovane eroe villapriolese Giacomo Lisacchi non trova memoria e onore nel Comune di Villarosa


Gli ultimi soldati del Re- Il sacrificio dei suoi figli migliori, degli ultimi soldati del Re, l’Italia il 25 aprile lo ha sempre ignorato. Nessuno ha mai voluto ricordare nel giorno della Festa della liberazione, come lo stesso giorno dell’8 settembre 1943 quando Badoglio fu costretto ad annunciare l’entrata in vigore dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati anglo-americani, firmato a Cassibile, ci fu l’eroica decisione di molti militari italiani di non arrendersi e di combattere i nazisti. E tutto ciò mentre il Re, dopo un drammatico consiglio della Corona, abbandonò Roma insieme a tutta la famiglia reale ed allo Stato Maggiore delle Forze Armate, lasciando i comandi militari privi di ordini. I fuggiaschi attraversarono la Tiburtina fino alla costa adriatica, si imbarcarono nella sera del 9 settembre del 1943 ad Ortona sulla corvetta “Baionetta”, facendo rotta verso Brindisi, dove giunsero nel pomeriggio del 10. La stessa sera, il generale Mario Roatta, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, che avrebbe dovuto fermarsi a Roma per provvedere alla difesa della capitale, emanò da Brindisi, a quel che rimaneva dell’esercito italiano, il tardivo ordine di opporsi ai tedeschi. Questi avvenimenti, ormai noti ed accertati, a quell’epoca non erano ovviamente conosciuti dai comandi militari periferici: ognuno agì quindi secondo la propria etica di uomo e di soldato. Questi fatti ci consentono, nella ricorrenza del 25 Aprile, di ricordare un valoroso soldato della nostra provincia, Giacomo Lisacchi, che scelse, assieme a tanti altri militari, la via difficile dell’onore e del sacrificio per difendere l’Italia da un nemico spietato. A Giacomo Lisacchi di Villapriolo, bersagliere dell’VIII° Reggimento ciclisti, venne conferita una medaglia d’argento al valor milatare con la seguente motivazione: ‘In servizio O.P. fuori caserma a Rovereto, nella notte dell’8 al 9 settetembre 1943, in seguito all’intimazione di resa e di cessioni delle armi da parte di un forte nucleo di soldati tedeschi armati di parabellum, reagiva prontamente con le armi, trovando eroica morte nella inadeguata lotta. Magnifico esempio di abnegazione, senso del dovere e sprezzo del pericolo.-Rovereto S.Ilario 8-9 Settembre 1943’. Eppure, il sacrificio di questo giovane eroe villapriolese, a tutt’oggi non ha trovato memoria nel comune di Villarosa. Non figura nemmeno nella lapide del monumento ai caduti in guerra. Le sue spoglie, rientrate per volere della famiglia nel 1962 da Rovereto, oggi riposano nel piccolo cimitero di Villapriolo dove visse con i genitori, una sorella e due fratelli anch’essi provati gravemente dalla guerra: Pietro perse entrambi gli occhi e Francesco fu gravemente ferito in una gamba”.

Ecco un frammento di racconto di quello che avvenne a Rovereto nella notte dell’8/9 settembre 1943, quando eroicamente perse la vita il giovane villapriolese.

NOTTE D’INFERNO. Tratto da “La Bolgia dei vivi” di: Nino Agenore Bertagna
“Uno fra i momenti che mi hanno fatto fremere di paura fu la notte che doveva essere quella della fine delle ostilità in Italia. Notte di terrore, in quanto non avevo ancora conosciuto la tragedia della lotta e del sangue. Ero, in quella notte, in servizio di Ronda al Comando di Presidio di Rovereto con pochi altri compagni e il mio secondo turno andava alla mezzanotte. Non sapevo cosa fosse, ma uno strano presentimento era in me e in noi tutti e con tale fissazione mi coricai dopo il primo turno. Ad un tratto, non seppi da quanto tempo mi ero assopito, una scarica di arma da fuoco mi fece sobbalzare nella branda. Nella palestra dove alloggiavamo, ci guardammo stupiti e ansiosi per lo strano colpo sparato, quando un compagno, di servizio, in quel turno, entrò barcollando ed appoggiandosi alle pareti, trattenendosi in uno sforzo di dolore dei gemiti. Tre pallottole gli erano state conficcate nelle gambe e nel piede sinistro. Lo stendemmo sopra un giaciglio strappandogli di dosso i pantaloni e le scarpe, quindi lo fasciammo alla meglio, mentre fra un gemito e l’altro ci invitava a dileguarci nella notte onde sottrarci alla caccia intrapresa ai nostri danni dal tedesco. Inconsapevoli di questo nuovo fatto, volemmo sapere più chiaramente quanto stava succedendo, e sapemmo allora che pattuglie tedesche erano sguinzagliate ovunque per la cattura di noi soldati italiani. Un rauco vociare cavernoso ci fece fremere in quel momento. -Andate!- ci disse ancora una volta il ferito, -e occultatevi ove meglio potete!- E così, prese armi e munizioni in nostra dotazione, scendemmo nel giardino sito all’interno del fabbricato, ove folte siepi sembravano attenderci. Quindi scavalcammo alla chetichella un recinto metallico, ed entrati nel giardino di una Scuola limitrofa, tentammo di guadagnare la strada che porta alla stazione. Ma troppo tardi! Ovunque echeggiava sinistramente l’Halt! Mentre fischi e spari rompevano il silenzio della notte. Dalla palestra intanto i tedeschi avevano indovinato le nostre mosse e ci sparavano addosso come forsennati, Per fortuna la direzione di mira non era esatta, e così nessuno di noi subì conseguenza alcuna. Poi la pattuglia, non udendo rumore alcuno e forse perché temeva un’imboscata, cessò il fuoco, lasciandoci colà tra le fitte siepi. Con il cuore in tumulto, ci sparpagliammo sotto i sempreverdi, nell’attesa degli eventi che si giudicavano abbastanza seri e incerti. L’attesa fu straziante: palle fischiavano in tutte le direzioni, grida salivano al cielo. Come un turbine vertiginoso passavano nella mia visione sconvolta figure e presentimenti strani, tutto balenava in me convulsamente, privandomi della padronanza dei miei pensieri. Passò così diverso tempo che non seppi controllare, quando una secca detonazione squarciò l’aere nella fresca notte. Un nuovo sobbalzo, un nuovo fremito. Era quello il cannone dei Panzer delle SS? Ma perché? Cosa stava accadendo? Come risposta vidi tra la folta vegetazione che mi occultava, un razzo rosso sfrecciare nell’oscuro velo dell’orizzonte. Subito dopo un altro ancora, e poi altri saettarono in varie direzioni. Uno cadde intorno al Comando di Presidio ove noi eravamo. L’ordine di fuoco fu così dato e in breve tempo un carosello infernale di fuoco e detonazioni investì il centro di Rovereto. Mitraglie, carabine e cannoni sgranavano i loro rabbiosi rosari di morte, rendendo sempre più indiavolata quell’atmosfera. Mi tappai le orecchie e gli occhi cercando di isolarmi con i sensi dal luogo d’inferno, ma era inutile e comprensibile estraniarmi dalla realtà. Nemmeno la preghiera o il richiamo a visioni care potevano far tanto. Da tutto quell’infernale baccano potei trarre una sola conclusione: i soldati italiani di stanza nella città intendevano vendere cara la loro pelle! Il tempo passava con lentezza esasperante e sembrava pesare sul capo come un’enorme cappa di piombo. Le tenebre rendevano agognate le luci del giorno e la fine di quella sparatoria. L’aspetto più terreo sembrava impresso in tutto ciò che a malapena potevo scorgere d’attorno. Il mio cuore batteva con rapidità centuplicata, la mia testa sembrava di fuoco, il ragionamento mancava. D’un tratto un’alta fiammata salì al cielo rischiarandolo sinistramente. Poi una densa cortina di fumo fece seguito al chiarore del fuoco, finché tutto si smorzò gradatamente: gli spari, il fuoco, le fiamme dell’incendio. Mentre nel cielo il riflesso del braciere quasi spento, tingeva d’una rossastra luce morente la volta celeste, trovai un momento di assopimento pel mio essere contratto dalla tensione nervosa. La tempesta era cessata e le prime luci del giorno tingevano d’un chiarore vitreo e incerto le tenebre dell’infausta notte”. TUTTI PRIGIONIERI! “Un improvviso vociare mi fece destare dall’assopimento che mi aveva colto. Erano i soldati delle SS (Battaglioni d’assalto) tedesche in rastrellamento che venivano a prelevarci, sapendoci colà dalla sera prima. Nascondemmo armi e munizioni sotto le siepi che ci occultavano e ubbidendo all’imperioso: “Heraus, hier!” (uscite fuori) intimatoci col mitra spianato, uscimmo e raccolti i nostri bagagli in palestra fummo condotti al campo sportivo della città, che nel frattempo funzionava da campo di concentramento per i soldati italiani. La giornata settembrina prometteva caldo come era di consueto in quel periodo e il sole di una forza primaverile saliva lento nell’arco del cielo. Una vaga sensazione di amarezza empiva il mio cuore: Prigioniero! Ma cosa era accaduto mai così repentinamente da capovolgere le sorti senza essercene nemmeno accorti? Questo il primo interrogativo a non trovare risposta in noi. Avevamo appena preso posto sul prato del campo, che tutto il 132° Artiglieria, composto di nuove reclute, molte ancora in abiti borghesi, faceva il suo ingresso. Li seguirono i pochi anziani del 2° Artiglieria Alpina, i Bersaglieri del mio Battaglione, seguiti dagli altri due Battaglioni del Reggimento, tutti di stanza a Rovereto. Così tutta la massa dei soldati italiani, da quel momento, cominciò a salire l’erta china del Calvario. La popolazione tutta dopo la brutta nottata s’era ridestata con l’amara sorpresa di vedere i suoi soldati prigionieri delle SS tedesche, e le Caserme vuotate e sfasciate o ridotti in bracieri ancora ardenti. E con ansia e la preoccupazione che la distingueva accorreva a noi, attorno al cinto metallico, sfidando la brutalità del tedesco, per conoscere le nostre sorti e quanto successe. Veramente encomiabile la premura della gente roveretana, per l’assistenza, per quanto fosse stato loro possibile, per i nostri bisogni morali e materiali. Pur non sottilizzando in particolari, dirò che il cuore di Rovereto rimarrà impresso in me, finché rimarranno vive nel mio pensiero quelle giornate. Era allora il 9 Settembre 1943, il giorno si può dire in cui cadde sul capo dell’Internato comune il tradimento più bruto degli uomini! Si: perché l’Internato fu tradito da tutti! Fu giocato sui suoi sentimenti, fu mandato al massacro in una guerra in cui non si era preparati, e voluta dalla follia di folli e per una follia a cui pochissimi osarono reagire. Contadino, operaio, artigiano, il soldato italiano obbedì sempre ciecamente, credendo in qualcosa di essenziale, di umano, di leale. Ma alla fine si trovò con la più spietata delle delusioni: nessuna vittoria, nessuna ricompensa, ma solo il martirio del corpo e dello spirito. Quale dramma più grande può essere ricordato se non quello dell’Internato italiano?……” LA RESA DELLA MAFFEI. “In un ex magazzino a nord della città chiamato Maffei, risiedeva la Compagnia Autonoma Specialisti Radio dell’8° Reggimento Bersaglieri, alla quale io pure appartenevo. Ciò che successe quella notte alla Maffei, potei saperlo il giorno della resa dai compagni d’arma che hanno vissuto quelle ore. Il corpo di guardia era già rinforzato dalla sera innanzi. Pure in Caserma ognuno era pronto agli eventi che ancor si presentavano confusi. Poco dopo la mezzanotte la Sentinella avvertiva dei rumori all’esterno. Prontamente appostandosi poté avvertire dei passi che si dirigevano all’ingresso e la risolutezza nel voler entrare poi. Intimato l’alt parecchie volte e notando l’insistenza all’esterno imbracciò il moschetto. Una raffica di MaschinePistole, (il mitra tedesco) stese al suolo il malcapitato di servizio. In un attimo l’allarme fu dato, e ognuno si trovò al proprio posto, in attesa di un ordine. Il Capoposto volle nel frattempo rispondere con il fucile mitragliatore che avevamo in dotazione, ma al secondo colpo l’arma si inceppò, costringendo il difensore a internarsi. La pattuglia tedesca vista la risolutezza da parte dei Bersaglieri a non aprire fece entrare in azione i Panzer, i quali con i loro cannoni cominciarono a vomitare fiamme e proiettili scassinando l’ingresso. Di buono i compagni della Maffei avevano il favore della posizione, il che permise al loro coraggio di mettersi in evidenza. Infatti la Caserma era inaccessibile sul retro, in quanto tallonata dalla collina, che si ergeva ripida, mentre tutto intorno era circondata da abitazioni, unica via d’accesso alla Maffei era un sottopassaggio costruito nel palazzo di centro. Comunque alla rabbiosa sparatoria dei Panzer, ne seguì una violenta reazione dei Bersaglieri i quali non intendevano cedere tanto facilmente la posizione, e manco meno la loro pelle. Così la lotta si inaspriva sempre più: i carri armati sull’ingresso vomitavano fuoco all’interno e i compagni d’armi a rispondere dalla Caserma e dalla collina su cui si erano appostati dalla sera prima. Ne seguì un rovinio generale della Caserma in particolare modo e delle abitazioni circostanti. Ma malgrado ciò nessun uomo delle SS si azzardò a uscire dal proprio Panzer per chiedere la resa ai Bersaglieri. Era ciò un sottoporsi al facilissimo bersaglio dei difensori. Così decisero di cessare il fuoco e di fare buona guardia all’ingresso nell’attesa dell’indomani. Purtroppo la disperata difesa di quel gruppo di giovani, non valse a nulla: al mattino seguente un Maggiore dei Bersaglieri seguito da una pattuglia di SS, entrò con bandiera bianca per chiedere la resa per conto dei tedeschi, ai cento ragazzi che nella notte avevano fermato i Panzer e fatti acquietare. Così tutti inquadrati, zaino in spalla, disarmati, ci raggiunsero al campo sportivo ove noi già stavamo da qualche ora. A S. Ilario, più a nord, c’era il nostro V° Battaglione: da un Panzer scesero tre uomini per chiedere la resa alla nostra ronda che vigilava nei dintorni. Diversamente accadde uno scambio di raffiche da entrambe le parti, che lasciarono stesi a terra privi di vita, un tedesco subito, due dei nostri poi…..”

sabato 23 aprile 2011

Venerdì Santo 2011 a Enna






Venerdì Santo 2011 a Villarosa e Villapriolo









Villarosa. Anche quest’anno il miracolo si è rinnovato. Non un miracolo nel senso comune del termine, ma qualcosa che dalle nostre parti ha qualcosa di prodigioso. Perchè è nella Settimana Santa, in particolare il venerdì, che le due comunità, Villarosa e Villapriolo, si risvegliano e ritrovano l’idendità e la memoria. “Il Venerdì Santo è la festa primaria –ha detto mons. Salvatore Stagno-, la la più antica, la più sentita da tutta la popolazione e tutti partecipano con devozione e attenzione”. Infatti, se la Settimana Santa è dappertutto carica di significato e commozione, anche le due comunità villarosane sono un esempio di religiosità dove il culto della passione e della resurrezione di Gesù Cristo è ancora vivo e vivido come un tempo. Ieri, a Villarosa il momento cruciale è stato rappresentato dalla sfilata solenne del Cristo alla colonna, affiancato da San Giovanni e l’Addolorata, delle confraternite maschili di San Giovanni, del Santissimo Crocifisso, del Santo Sepolcro, di Santa Barbara, San Giacomo e delle due confraternite femminili Madonna della Catena e Addolorata, che puntualmente, ogni anno, con i loro vessilli, le loro divise e tanta spiritualità, rendono il rito particolarmente suggestivo. A Villapriolo, invece, hanno occupano uno spazio di rilievo “i lamenti”, antichissimi canti in un siciliano ristretto che accompagnano la processione con l’urna del Cristo Morto per le vie del paese. A Villapriolo, quest’anno per la prima volta c’è stata una picola variante nel secolare tragitto processionale, ma è stato sempre in via Bongiorno il tradizionale incontro tra Cristo, San Giovanni e l’Addolorata. La processione si è conclusa al calvario, dove ci sono stati alcuni momenti di intensa suggestione che lasciano il segno, come quello della crocefissione. Di solidarietà e di condivione del dolore ha parlato don Salvatore Bevacqua nell’omelia che, per tradizione, si svolge da un balcone di via Alongi. “Sono molti –ha sottolineato- che pensano a progetti strabilianti per far progredire l’uomo e tanti dimenticano che l’uomo continua a morire, a perdere il suo sangue e cioè la sua vita. Perchè lasciato solo, perchè nessuno gli sta accanto per usargli carità e prestargli il fraterno servizio. Non sempre sappiamo accorgerci del fratello che ci è accanto. Impegnamoci, seguendo l’insegnamento di Gesù, ad aiutare chi è in difficoltà”.

Pietro Lisacchi

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giovedì 21 aprile 2011

A che servono gli ospedali di Piazza Armerina, Leonforte e Nicosia se non hanno Rianimazione e Utic?

Un’anziana signora di Regalbuto, una mattina di qualche anno fa, colta da infarto con un’autoambulanza del 118 fu trasportata all’Ospedale “Ferro Branciforte Capra” di Leonforte dove venne ricoverata per le cure del caso. Nel corso della nottata, le sue condizioni si aggravarono e quindi i medici decisero il trasferimento presso l’Utic (Unità di terapia intensiva cardiologiaca) di Enna. A raccontarcelo fu l’anziano marito, incontrato per caso, il quale preoccupatissimo non si riusciva a capacitare del perché la moglie fu portata all’Ospedale Branciforti che non ha la Terapia intensiva, perdendo tempo prezioso, e non invece a Enna. La risposta all’interrogativo dell’anziano signore ce la diedero alcuni addetti del 118. “Il personale delle ambulanze ha l’obbligo di trasportare l’ammalato soccorso all’ospedale di riferimento o più vicino”. E l’ospedale di riferimento, per gli abitanti di Regalbuto, è Leonforte. “E’ vero –ci confermò allora un dirigente dell’ex Ausl-. Una persona soccorsa da un’ambulanza deve essere trasportata all’ospedale più vicino o di riferimento. Se, ad esempio, un cittadino di Pietraperzia viene colto da un malore di una certa gravità si trasporta all’ospedale di Mazzarino, anziché a quello di Caltanissetta. E’ un non senso, purtroppo è così”. Con il dirigente parlammo anche della sanità in provincia di Enna. “Io sono del parere –ci disse- che per la salute si può e si deve far tutto. Però è anche vero che gli ospedali in provincia di Enna, soprattutto quelli di primo livello, sono troppi e non danno quella garanzia effettiva che il paziente vorrebbe avere . E le spiego subito il perchè. Un ospedale che non abbia un pronto soccorso con rianimazione e l’Utic, finisce con non essere adeguatamente attrezzato per i casi più complessi, più gravi. In una provincia piccola come la nostra, con meno di 180 mila abitanti, ci troviamo ad avere una azienda ospedaliera, che è l’Umberto I, più tre ospedali di primo livello, Nicosia, Leonforte e Piazza Armerina, ma aggiungiamoci anche l’Oasi di Troina, dove ritengo che abbiamo tanti inutili reparti fotocopie. Per il cittadino non costituiscono veramente un punto di riferimento, soprattutto per i casi estremi e per quelli più gravi. E allora, sarebbe più giudizioso, a mio parere, rimodulare la rete d’offerta, i servizi territoriali e questi piccoli ospedali, potenziando ed esaltando, invece, l’Umberto I che è un’azienda ospedaliera di riferimento della provincia. Nel contempo, organizzarci nel territorio in maniera tale da potere avere, ad esempio, delle ambulanze con medico a bordo che possa supportare le funzioni vitali per trasportare in piena sicurezza il paziente nel centro più idoneo e più vicino dove ci sono la rianimazione e l’Utic”. In quell’occasione parlammo anche del progetto della “Casa della Salute”. Un’idea che piacque molto all’ex ministro Turco tanto che diede ufficialmente il via alla sperimentazione. Nella nostra provincia ne dovevano nascere due. La Casa della Salute –secondo quanto ci spiegò il dirigente- doveva essere “un’ alternativa all’ospedale dando continuità assistenziale al cittadino 24 ore su 24 e, contemporaneamente, decongestionare i pronto soccorso”. L’obiettivo era di “riunire in un unica struttura medici di famiglia”, che dovevano lavorare in rete, “guardia medica, specialisti ambulatoriali, servizi di diagnostica di radiologia e di laboratorio. Ma anche altri servizi importanti, quali la materno-infantile, le tossicodipendenze, la salute mentale, l’assistenza domiciliare, la prevenzione, i consultori, ecc.”. “Una progettualità ritengo –concluse il dirigente- molto bella. E’ una grande, enorme scommessa che vorremmo riuscire a vincere e fare assieme con i comuni, con gli enti locali e coinvolgendo il terzo settore. La casa della salute, molto probabilmente, si potrebbe rivelare il migliore antitodo contro l’inefficienza e i gli sprechi che finora si sono registrati”. Quella scommessa, purtroppo, fu completamente persa.

Giacomo Lisacchi

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mercoledì 20 aprile 2011

Il Venerdì Santo dei migranti

Stiamo vivendo un momento buio della storia. Non solo sul piano politico, istituzionale, civile. Stiamo brancolando nel buio dell’etica, nel crepuscolo dei valori che danno un senso al vivere umano, alla solidarietà fra i popoli. Hanno ragione i sociologi del disincanto quando dicono che oramai siamo immersi nell’epoca delle passioni tristi, nella modernità liquida. Dopo aver annunciato la morte di Dio con il folle uomo nietzschano alla fine dell’Ottocento – ha chiarito in maniera limpida lo psicanalista Luigi Zoja in un recente incontro a Bolzano – ora abbiamo decretato la fine della seconda relazione costitutiva dell’essere umano, quella che ha come soggetto il prossimo. La morte del prossimo coincide con la morte dell’etica, con la fine di ogni valore davvero umano, con lo sprofondamento nell’individualismo che assume i connotati del razzismo e della xenofobia. Il prossimo non c’è più. Non solo non si ascolta il suo lamento lasciandolo sulla strada morente, o lasciandolo affogare nel mare dei disperati,. ma non ne percepiamo nemmeno più la presenza scandalosa. Il prossimo è respinto, rifiutato, negato. Cosa sappiamo delle moltitudini di uomini, donne, bambini che cercano disperatamente di raggiungere le nostre coste per aspirare ad una vita migliore? Chi si preoccupa di ascoltare i loro racconti? Chi attesta se queste persone sono in effettivo pericolo di vita e chiedono un aiuto per poter sopravvivere alla guerra, alla discriminazione, al pericolo, alla fame, all’ingiustizia? Chi sono i migranti che ogni giorno rischiano la vita prendendo la via del mare nella speranza di essere accolti nell’Europa Casa Comune, in quel vecchio continente che si vanta di essere la culla della democrazia? Il Mediterraneo, il Mare Nostrum è diventato Mare Monstrum. Ogni giorno divora, nelle sue viscere, i disperati che azzardano la sfida del tempo e della precarietà. Il cimitero del prossimo è lì, nei fondali di un mare dove sono sepolti gli anonimi respinti dal governo, i poveri Cristi su cui ogni giorno si depositano le lingue di fuoco dell’intolleranza e del razzismo. Sono i dannati della terra che oltre tutti gli oltraggi sono costretti a subire le più indicibili violenze verbali e le più ributtanti chiusure politiche. Ci sono braccia che si allungano, ci sono uomini che si lanciano nell’aiuto. Ma sono i volenterosi che presidiano le coste. Altri vorrebbero dispiegare la marina, chiudere il varco con gli eserciti e addirittura ipotizzare di sparare al prossimo, annientandolo anche fisicamente.
Un cinismo non solo italiano. Il prossimo è morto. Nessuno lo riconosce. Perfino le più avanzate democrazie europee, che nei decenni passati hanno avuto pressioni migratorie molto più cospicue delle nostre, oggi dicono: “Non c’è posto, non venite, non azzardatevi”. Il prossimo e Dio, uniti nella morte e nella denigrazione. Fra pochi giorni festeggeremo la pasqua di resurrezione del Signore. Una pasqua che passa inevitabilmente per il Venerdì santo. Il giusto viene condannato a morte con i sigilli del potere e con il clamore manipolato del popolo. E’ la stessa morte dei migranti, divorati dal Mediterraneo inospitale, rifiutati con i sigilli del potere, respinti dalle leggi, inascoltati dal clamore di un popolo allarmato da una propaganda martellante di morte, di paura, di insicurezza, di paranoie identitarie, di pregiudizi e di vittimismo. Non si può celebrare il venerdì santo senza i migranti. Non avrebbe alcun significato. Ricordiamo il monito di Bonhoeffer durante il nazismo: “Come possiamo cantare in gregoriano nelle nostre chiese mentre si ammazzano col gas gli ebrei? E noi, possiamo cantare nelle nostre chiese la pasqua di resurrezione senza pensare agli anonimi che ogni giorno muoiono nel mare, con il sogno, ancora vigile, di un riscatto possibile? Possiamo celebrare la messa pasquale senza pensare ai bambini stramazzati dal freddo, dalla fame, dal naufragio? Senza pensare alle donne annegate e trascinate dall’acqua? Venerdì santo si ricorda la morte del giusto. Noi ricorderemo le morti anonime trafitte dall’intolleranza e dal rifiuto. Credenti e non credenti che hanno a cuore i valori profondi dell’umanità possono ritrovarsi davanti al comandamento di Dio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non come un altro distaccato da te, ma come il tuo te prolungato, come la parte di te. Fare digiuno il venerdì santo significa entrare in un rapporto di empatia con i poveri dimenticati, con il dramma di quei barconi affondati nel mare, con la sofferenza e la disperazione dei familiari che sono sopravvissuti perdendo figli, mogli, mariti, amici. Fare silenzio significa uscire dal caos delle parole e commemorare la morte del prossimo E’ una nonviolenza dei segni. Venerdì santo sarà una giornata dedicata ai migranti morti nel Mediterraneo. Il venerdì santo dei migranti. Ognuno di noi si impegnerà a fare digiuno (anche di internet) e a fare silenzio immergendoci con la mente e con il cuore nei fondali del mare, portando un segno di amicizia nel cimitero dei dannati. Possiamo darci la mano nelle varie realtà d’Italia, scendere per strada in circoli per fare silenzio e commemorare la morte dei prossimi divenuti tremendamente lontani, anzi, divenuti invisibili e impercettibili. Venerdì santo sia allora un venerdì dedicato ai migranti, alle loro soffereze, alle morti e ai sogni di speranza.

martedì 19 aprile 2011

Villarosa -Foto Venerdì Santo


Villapriolo- Foto Venerdì Santo









Settimana Santa a Enna- Le confraternite oggi sono 16 ma un tempo erano 77


Molto è stato scritto sulle 16 confraternite esistenti, ma a cimentarsi con la storia delle congreghe di Enna, in occasione della Settimana Santa, con la passione che da sempre lo contradistingue è Gaetano Vicari. “In questa settimana –dice Vicari- rievocare la storia delle confraternite è come immergersi in una delle pagine più vive, autentiche, genuine della vita della nostra città”. Quindi, ricorda che in origine, “secondo quanto scrive padre Giovanni dei cappuccini nella sua storia di Enna, con le sue 133 chiese esistenti, c’erano a Castrogiovanni 77 confraternite e 18 compagnie. “Confraternite –sottolinea- che al tempo della dominazione spagnola (XV secolo) erano collegate alle “Corporazioni di mestieri” chiamate in dialetto ‘confratrìe’. Alcune delle confraternite scomparse sono: Collegio di Maria 1630; Congregazione della Misericordia 1610; Confraternita di Sant’Eligio 1670; Collegio di San Sebastiano 1630; i collegi di Sant’Onofrio, Sant’Agata, Santa Teresa, San Nicolò, Sant’Antonio del cretario o critazzo, di San Vito, Santa Maria di Loreto, Sant’Orsola, Sant’Agrippina, San Pietro e San Pietro e Paolo. Oltre alle confraternite, a Castrogiovanni –aggiunge Vicari- vi erano quattro istituzioni religiose: l’Opera del Turno della sera del 1626, l’Opera degli agonizzanti del 1703, l’Opera della 40 ore del 1690 e la Congregazione di carità. Fra le sedici confraternite esistenti –spiega ancora Vicari-, l’Arciconfraternita delle Anime sante del Purgatorio, istituita il 9 ottobre del 1615 dal parroco della chiesa di San Bartolomeo, don Giacomo Pregadio, il 22 agosto del 1616 con la bolla papale del pontefice Paolo V venne aggregata alla Compagnia della morte di Roma. Infatti, la confraternita ennese ha lo stesso emblema di quella romana: il teschio con due ossa incrociate. Inoltre, tra i privilegi concessi con la bolla papale vi erano intercessioni e indulgenze e persino la possibilità al rettore della confraternita di liberare il 2 novembre di ogni anno da ogni pena 3 condannati. Un tempo -conclude Vicari- durante la Settimana Santa, oltre alle confraternite, si recavano al Duomo in processione associazioni e congregazioni maschili e femminili di ogni singola parrocchia”.

Pietro Lisacchi

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lunedì 18 aprile 2011

La cocaina sempre più diffusa tra le donne


Dove crescono vivaci le quote rosa? Dove non vorremmo: sul fronte alcol, fumo e droghe, specialmente cocaina. Tristi i dati italiani: è in netto aumento tra le donne l’uso di sostanze pericolose per la salute fisica, emotiva, affettiva, sessuale, familiare. Aumentano in parallelo le conseguenze a lungo termine: per esempio, mentre negli uomini sono in riduzione il cancro ai polmoni e alla vescica dovuti al fumo, questi sono in drammatico aumento nelle fumatrici. L’alcol presenta altri conti salati: perché le donne sono biologicamente molto più sensibili degli uomini ai suoi effetti nefasti. Già due bicchieri di vino al giorno causano tossicità cerebrale, con problemi comportamentali e psichici, oltre che crescenti danni epatici e, non ultimo, un aumento del rischio relativo di cancro al seno del 78%. E la cocaina? Le tossicodipendenti che in Italia hanno chiesto aiuto medico e psicologico sono 27.000. La polvere bianca è in ascesa nel gradimento di donne giovani e meno giovani, nel 75% dei casi associata ad alcol: un mix micidiale. Perché la coca è così pericolosa? Perché va ad agire soprattutto sulla dopamina, un neurotrasmettitore che troviamo in particolare in tre aree cerebrali: nella via appetitiva (che governa il gusto di esplorare, il desiderio fisico e mentale, l’estroversione); nell’area motoria; e nell’area che governa il pensiero logico-lineare. Perché un numero crescente di donne è sedotto dalla coca e dal suo primo complice, l’alcol? Per le stesse ragioni dei maschi, ma con una vulnerabilità doppia, a parità di dosi. La usano innanzitutto perché la polvere bianca aumenta chimicamente la sensazione di energia, di potenza, di capacità illimitata, anche quando le forze fisiche sono in ribasso per lo stress: per questo vi ricorrono molte donne che non riescono più a reggere la competizione sul fronte professionale.
La coca aumenta la resistenza alla fatica, nel breve termine. Nel lungo termine, tuttavia, il crescere della fatica e dello stress fisico e nervoso, che nel frattempo si accumulano come spazzatura tossica nel corpo e nella mente, e gli effetti negativi della droga stessa preparano le condizioni per un crollo da cui può non esserci ritorno: ipertensione, infarti cardiaci ed emorragie cerebrali presentano il primo conto, che può essere fatale, sul fronte cardiovascolare, mentre i danni cerebrali usurano lucidità, capacità di analisi, comportamento e qualità del sonno, senza il quale il cervello perde la capacità di funzionamento ottimale, favorendo depressione grave, ansia distruttiva e pensieri ossessivi.
La coca aumenta il piacere fisico e mentale: e sempre più donne cercano un erotismo fisicamente travolgente, indipendentemente da coinvolgimenti affettivi. “Mi serve per sentirmi viva”, mi dice una giovane donna di 25 anni: ed è ben triste che un corpo così giovane si senta vivo solo se drogato. La coca riduce il senso di fame: il suo uso sta crescendo tra le donne con disturbi del comportamento alimentare. E modifica la percezione di sé: la donna magra e affamata si vede allora bella, luminosa, anzi scintillante e onnipotente. Se le motivazioni generali all’uso di droghe sono le stesse tra donne e uomini, nella donna c’è una conseguenza esclusiva: i danni al bambino se la coca viene assunta in gravidanza. Purtroppo il 5% delle donne incinte tra i 15 e i 44 anni dichiara di assumere coca, il 10% alcol, il 16% di fumare. I bambini nati da donne che hanno fatto uso di cocaina hanno cranio e cervello più piccoli, con conseguenze a livello comportamentale, motorio e della capacità di pensare e apprendere. Certo, questi rischi sono modulati dalla qualità delle cure dopo la nascita: ma è probabile che una mamma che ha bisogno di droghe per affrontare la vita quotidiana prima della gravidanza abbia ancora più difficoltà a gestirla dopo la nascita del piccolo. Che fare? Mai banalizzare l’insidiosità delle droghe. Non illudersi: “Tanto smetto quando voglio”. La dipendenza psicologica, attivata dall’aumentato senso di benessere, è un potentissimo fattore di motivazione a ricercarla, a dosi e a frequenza crescenti. Non rimandare la richiesta di aiuto: più dura l’uso, più è difficile liberarsene. Attenzione: se la via per la parità nella vita e nella carriera è dura, le illusorie scorciatoie con la droga la rendono impraticabile, e alla fine, impossibile.

sabato 16 aprile 2011

Testimone di Geova muore per essersi rifiutata di ricevere una trasfusione di sangue

SANREMO - Non ce l'ha fatta Annunziata Iannicelli, l'anziana testimone di Geova balzata agli onori della cronaca nelle scorse settimane per essersi rifiutata di ricevere una trasfusione di sangue. Il caso era stato denunciato dalla figlia, Maria Tronti, che attraverso i suoi legali aveva chiesto l'intervento della magistratura.
L'istanza è stata però respinta per un vizio di forma della domanda cui con la donna chiedeva ai giudici di far intervenire i sanitari dell'ospedale Saint Charles di Bordighera, dove era ricoverata. «Ognuno può credere in quello che vuole, ma in questo caso c'è di mezzo una vita, quella di mia madre», era stato l'appello della figlia dell'anziana, che era stata ricoverata per problemi allo stomaco.
Dimessa alcuni giorni dopo, le condizioni dell'anziana sono peggiorate ed è stato necessario un nuovo ricovero in ospedale. La testimone di Geova, cosciente fino all'ultimo, ha di nuovo rifiutato le cure ed è morta. Oggi si svolgeranno i suoi funerali.

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Ecco come la camorra spolpava gli imprenditori del Nord-Est


VENEZIA - «Devo fargli uscire la m... di bocca» sputa il carnefice, pregustando la lezione alle vittime che non pagano. E ancora, replicando al grande capo Mario Crisci che gli chiede di non mollare, aggiunge: «Te lo giuro sul mio figlio Mario, è anno nuovo... ti ho giurato sui miei figli che prenderanno le botte tutti, ora ti faccio il film di B. mentre Alessandro gli schiatta la testa, non ti preoccupare». B. è un imprenditore padovano, portato poi in un cantiere a Maserà di Padova e picchiato selvaggiamente più volte, perfino sequestrato per ottenere soldi o assegni. Lui e il figlio implorano i loro aguzzini. «Mario, ascolta, ve lo chiedo in ginocchio che ho ancora bisogno di qualche giorno... la prossima settimana i soldi ve li do».
È un pozzo senza fondo di paura, intimidazioni, botte e minacce, l’inchiesta condotta dai carabinieri di Vicenza e dalla Dia di Venezia e Padova che ha scoperchiato i grandi affari della camorra in Veneto. Ovvero, come ti spolpo l’imprenditore dopo avergli prestato una manciata di soldi, riducendolo sul lastrico, fino al punto di mangiargli l’attività o l’azienda. Di agghiacciante - oltre alla violenza pura, testimoniata, perfino registrata nelle voci e nelle urla di dolore - nella pagine di ricostruzione che hanno portato all’arresto di 29 persone c’è la diffusione a macchia d’olio di un sistema oliato. Senza che nessuno trovasse il coraggio di denunciare.
«DIVERTITEVI UN PO’». Crisci è implacabile. Quando picchiano B., al telefono ordina: «Ricomincia daccapo perchè questo non ha capito proprio niente. Rispiegaglielo un’altra volta... E me lo ripassi, dopo che lo hai rifatto me lo ripassi». Il capo insiste: «Dai comincia... fai cominciare Alessandro (uno dei picchiatori, ndr) divertitevi un po’...». I ragazzi si divertono. I carabinieri annotano a margine dell’intercettazione: «Vengono registrati gli inconfondibili rumori degli schiaffi». E il gip Luca Marini scrive: «Alberto B. piange la sua disperazione al Crisci che sarcastico e spietato chiede contezza della sospensione dei lavori presso il cantiere e dei mancati versamenti alzando ancora le pretese usurarie». Ancora minacce: «Se non vai al lavoro Alessandro ti viene a cercare. Tu sai quante pagine di precedenti ha?».
«BOSS COME IL PAPÀ». Antonio Parisi, il vicecapo, arrestato anche lui, secondo un supertestimone sarebbe protagonista di un fatto agghiacciante. «Un particolare che mi ha toccato profondamente e sul quale voglio riferire è che Antonio aveva disposto che anche il figlio di soli 12 anni avrebbe dovuto assistere alla discussione. (in realtà un pestaggio, ndr) Ho immediatamente trascinato via il ragazzino con una scusa, mentre il padre mi diceva che doveva rimanere. Nel tragitto in compagnia del ragazzino ho appreso che suo padre Antonio da qualche anno gli aveva regalato videogiochi e film che trattavano di mafia e camorra». Un modello per il bambino: «Mi ha espresso il suo desiderio di prendere parte al più presto a questo tipo di vita "da boss, da capo", così come gli stava insegnando il papà».
«LI HANNO FATTI INGINOCCHIARE». Una settimana dopo il picchiaggio di Alberto B., viene malmenato e sequestrato anche il padre di 73 anni. Scrive il gip: «È un gravissimo episodio che dà conto della straordinaria pericolosità sociale del sodalizio». Padre e figlio nello stesso cantiere, in balia dei carnefici: «Qui il Crisci, assieme ad Antonio Parisi, Ciro Parisi, Massimo Covino e Ferdinant Selmani ha preso a schiaffeggiare entrambe le vittime gridando loro che pretendeva i suoi soldi. Quindi dopo aver fatto inginocchiare Alberto B. ha preso a colpirlo cn la sua stessa stampella, avvolgendogli poi un cavo al collo e serrandolo e quindi pretendendo che chiamasse la moglie per farle firmare delle cambiali».
STORIE ESEMPLARI. La gang dei casalesi (che dicevano di dover dare i soldi alle famiglie dei compari detenuti in carcere) aveva collaudato il metodo, simile in diversi casi. Un vero strozzinaggio violento. Storie esemplari di imprenditori in difficoltà finanziaria. Alberto, impresario edile, riceve un finanziamento di 5 mila euro nel maggio 2010, con un interesse mensile del 15 per cento, 180 per cento annuo. Deve pagare 700 euro al mese solo per interessi. A ottobre rinegozia il debito in 12 mila euro, che raddoppiano a 24.700 a novembre. A gennaio 2011 sono 32 mila.
IL NOTAIO. Ci sono altre storie da raccontare. Ivano, produttore di colori, accetta prestiti ad usura. Poi nel marzo 2010 cede agli strozzini tutti i propri crediti per 300 mila euro. Quindi viene costretto a cedere anche le quote sociali intestate a una "testa di legno". Queste cessioni avvengono sempre davanti allo stesso notaio, il cui studio è stato perquisito dai carabinieri di Vicenza. Poi la vittima paga a rate altri 100 mila euro. Prendiamo il caso di Umberto. A giugno 2010 riceve 50 mila euro e promette un interesse mensile di 5 mila euro, pari al 120 per cento annuo. Comincia a pagare. Poi a settembre deve consgenare un assegno a garanzia per 23.500 euro e a gennaio 2011 titoli per 200 mila euro. Intanto a novembre aveva firmato un preliminare di vendita - a garanzia - relativo a due appartamenti e quattro garages.
PISTOLE E COCAINA. I carabinieri di Vicenza, al comando del colonnello Sarno, che hanno condotto le laboriose indagini con gli arresti hanno anche effettuato interessanti scoperte. Ad esempio 15 grammi di cocaina, due pistole (un’arma da guerra e una scacciacani modificata), 62 cartucce, 29 pallottole calibro 9, una paletta con il logo della Polizia Provinciale di Napoli, un lampeggiante della Polizia, 40 mila euro, un timbro falso di una banca.

La Feneal-Uil provinciale lancia l’allarme sullo stato di crisi in cui versa ormai da tempo il settore delle costruzioni della provincia di Enna.


La Feneal-Uil provinciale lancia l’allarme sullo stato di crisi in cui versa ormai da tempo il settore delle costruzioni della provincia di Enna. L’organizzazione sindacale degli edili, nel corso di un dibattuto incontro, alla presenza del segretario generale della Uil, Vincenzo Mudaro, ha rilevato che “quello che sta attraversando la nostra provincia è il peggiore periodo di crisi economico-occupazionale dell’ultimo decennio, che vede come principali vittime imprese costrette a cessare la propria attività, lavoratori indotti ad ingrossare le fila dei soggetti coperti da ammortizzatori sociali, come cassa integrazione o mobilità di lunga durata, e lavoratori sempre più vicini al baratro del licenziamento e della disoccupazione”. Una provincia, quella di Enna, che secondo la Feneal, “continua in maniera costante a svettare in cima ad ogni classifica economica negativa”. A dimostrarlo sono anche i dati forniti dalla Cassa Edile ennese, che “mostrano un quadro di imprese operanti sul territorio costituito esclusivamente da aziende di piccolissime dimensioni e con pochi dipendenti; una realtà fortemente polverizzata nella quale il sindacato riesce ad essere scarsamente presente ed in cui l’attenzione verso i temi della sicurezza non è prioritaria”. “Il settore delle costruzioni –ha detto Mudaro- è il comparto che per definizione rappresenta il volano di crescita dell’economia in generale. Negli ultimi anni, nel territorio ennese, nessuna grande opera è stata appaltata, e l’unico traino nel settore dell’edilizia è stato l’aumento dei lavori privati. E’delittuoso e intollerabile –ha aggiunto Mudaro- che troppe opere siano ancora bloccate senza che nessuna istituzione si preoccupi del futuro di imprese e lavoratori e che da oltre un anno si attenda che siano rese disponibili le risorse già assegnate dal Cipe. Difficoltà di natura politica ed economica continuano a rallentare –ha sottolineato- i lavori per la realizzazione del bacino idrico della diga Olivo; stesso impietoso destino è toccato alla realizzazione della Nord-Sud, opera che ha subito un grave arresto dei lavori e che attende ancora le autorizzazioni dell’Ente Parco dei Nebrodi; nessun intervento sulla viabilità, ampiamente annunciato, è stato ancora finanziato. A ciò si aggiunge una situazione di assoluto impasse riguardo alle autorizzazioni per i lavori di rifacimento della rete idrica e un assordante silenzio delle istituzioni sui necessari interventi infrastrutturali per la miglior fruizione del patrimonio archeologico di Piazza Armerina e di Aidone”. Forte preoccupazione ha espresso anche il segretario della Feneal, Dathan Di Dio, “per lo stallo che il governo, la regione e le amministrazioni locali stanno provocando per le inerzie nell’affrontare la crisi di investimenti e dei pagamenti”. “L’inerzia delle amministrazioni locali e della regione –ha denunciato Di Dio- sul fronte degli investimenti in opere pubbliche è aggravata dal blocco totale dei pagamenti che stanno dissestando finanziariamente il settore, con ritardi che superano, in alcune amministrazioni, anche i dodici mesi. E’ necessario –ha concluso Di Dio- riprendere ad investire ed a creare occupazione, che la politica e le amministrazioni senza ulteriori indugi avviino le opere pubbliche immediatamente cantierabili. Infine, che la Regione e le istituzioni locali procedano ad un deciso impegno di rapido utilizzo dei fondi di cui alla delibera Cipe del 31 luglio 2009 e diano pieno adempimento alle leggi in vigore per garantire tempi certi nel pagamento degli oneri contrattuali”.

Pietro Lisacchi

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Aziende biologiche di Enna aderiscono a “PrimaveraBio”


Parte da oggi, e durerà fino al 31 maggio, la “PrimaveraBio”: la campagna di promozione del biologico organizzata da Aiab Sicilia, alla quale hanno aderito anche aziende biologiche dell’ennese associate che apriranno le porte a scuole, cittadini, consumatori per fare conoscere la loro storia e la loro capacità di produrre cibi di alta qualità, salvaguardando allo stesso tempo l’ambiente. “Una iniziativa –spiega la coordinatrice provinciale dell’Aiab ennese, Marcella La Placa- che vede, tra l’altro, la collaborazione e il partenariato di Legambiente, dell’Arci, del CTM Altromercato e di Federparchi. Uno degli obiettivi della campagna dell’Aiab di quest’anno è anche quello di parlare della nuova Pac (Politica Agricola Comunitaria) in corso di definizione in questi mesi nell’Unione Europea. Questo processo decisionale –sottolinea Marcella la Placa- deve coinvolgere tutta la società civile. Discutere di politica agricola significa parlare di salute, alimentazione e territorio, cioè del nostro futuro. Scegliere il biologico rappresenta per i consumatori un modo importante per contribuire alla difesa della biodiversità animale e vegetale. Aiab vuole favorire le scelte di consumo consapevole, fondato sulla trasparenza e sulla garanzia della qualità dei prodotti: qualità per il gusto, per la salute, ma anche per l’ambiente”. Come già fatto nelle edizioni precedenti, le aziende che parteciperanno potranno organizzare diverse attività legate alla promozione dell’agricoltura biologica, come visite guidate, degustazioni dei proprio prodotti biologici, laboratori didattici e tanto altro ancora. “Ci aspettiamo –aggiunge Marcella la Placa- una partecipazione numerosa per far si che il biologico diventi sapere di tutti e non solo di alcuni. Scegliere il biologico rappresenta per i consumatori un modo importante per contribuire alla difesa del territorio, della biodiversità e dei nostri sapori tradizionali ennesi che hanno tutti una propria specificità. In questa prospettiva, il ruolo di Aiab è favorire le scelte di consumo consapevole, fondato sulla trasparenza e sulla garanzia della qualità dei prodotti. Credo –conclude- che potrebbe essere una buona occasione per i cittadini accostarsi alla campagna PrimaveraBio” Infatti chi lo vorrà fare può telefonare per informazioni allo 0922948966 Fax. 09221836092 www.aiabsicilia.it oppure 0935 31260 info@sangiovannello.it”.

Pietro Lisacchi

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giovedì 14 aprile 2011

Benigni: "Il mio Dante nel bordello italiano" Enna flash


Dopo la lectio magistralis di Mario Draghi, Roberto Benigni ha aperto ieri sera a Torino la Biennale Democrazia rivolgendo un appello agli italiani perchè si occupino di politica. Naturalmente a modo suo, partendo dal celebre VI canto del Purgatorio di Dante, condendo il tutto con battute al vetriolo su Berlusconi e il governo.
«Mamma mia come era impegnato Dante - ha detto Benigni - gli voleva bene a questo paese, lui. Voleva lottare per la democrazia e la libertà. Pensava fosse utile che un galantuomo scendesse in politica, perchè c'era un bel casino in quel tempo, parlamentari che si vendevano e passavano da una parte all'altra, e cose di questo genere, roba da medioevo».
«Altro che andare all'estero per sentirsi liberi - ha aggiunto, osannato da un pubblico di 9.000 persone che hanno fatto ore di coda - la nostra libertà è più dolce, io voglio essere libero qui, caspita».
E Torino «è una città bellissima piena di bandiere tricolori, qui si sente più che altrove l'unità d'Italia. Mi sono chiesto, appena arrivato, cosa potevo fare per questa città. Ho cercato su internet per comprare una casa, ho trovato in centro palazzo Madama e vicino un altro palazzo che potrebbe diventare Casino Royale. Qui c'è un vero patriottismo, che non è nazionalismo, ma una somma di valori, quelli della Repubblica». Prima di darsi alla sua lettura del VI Canto, quello in cui Dante, davanti a Virgilio e al poeta provenzale italiano Sordello, parla dell'Italia come «serva,...di dolore ostello, non donna di province, ma bordello» si sofferma sull'attualità.
«Maroni ha detto che dovremmo uscire dall'Europa - ha affermato il giullare - ma con questo governo ci farebbero uscire da ogni continente, peccato perchè proprio adesso Renzo Bossi ha capito in quale continente siamo». E, ancora: «Maroni ha ragione, l'Europa dovrebbe aiutarci e portarci via un po' di tutte queste persone che creano problemi. Per esempio perchè non si porta in Francia La Russa? Ma anche, magari Frattini e Cicchitto? Perchè dobbiamo tenerceli tutti noi scusate tanto?». E sul processo breve: «In Parlamento stanno votando da tre giorni, li hanno segregati tutti, alcuni parlamentari hanno detto che prendono mille euro fino alle 22, cinquemila per tutta la notte. A Torino ho sentito che hanno candidato La Ganga, d'altronde se non si riesce a battere Berlusconi, bisogna combatterlo sul suo stesso terreno».
Oppure: «la prima udienza per Ruby è durata 7 minuti, forse la più lunga dell'intero processo, ma dice Ruby più lungo della durata dello stesso reato. Berlusconi era arrabbiatissimo in tribunale, ha trovato anche striscione con slogan contro di lui come la legge è uguale per tutti».
Il messaggio finale agli italiani è: «Amate questo paese come l'amò Dante che scrisse la Divina Commedia e questo canto in particolare per fare politica, per lottare contro la corruzione». Tutto ciò in piena sintonia con l'anima della Biennale Democrazia «la più bella manifestazione culturale italiana».

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mercoledì 13 aprile 2011

ROMA - La Camera ha approvato stasera il processo breve

ROMA - La Camera ha approvato stasera il processo breve con 314 voti a favore e 296 contrari. Il ddl torna al Senato per la terza lettura. Finalmente una legge che mette l'Italia al passo con l'Europa, ha commentato soddisfatto Silvio Berlusconi con i deputati che lo hanno chiamato per informarlo dell'approvazione. Una soddisfazione legata anche alla tenuta della maggioranza che in questi due giorni ha dato prova di una reale compattezza, secondo il premier, per il quale è stata l'opposizione a fare una pessima figura. Tra l'altro, sempre secondo il premier, i voti in più che ha ottenuto la maggioranza dimostrano che quota 330 è un obiettivo concreto.

«Il governo nella coscienza degli italiani ha fatto un passo verso l'abisso. Ora sta a noi far comprendere la vergogna di questo provvedimento che dimostra l'assoluto disprezzo verso i problemi veri del paese», commenta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani.

Bossi: «Questo voto ci dice che i numeri ci sono. Non arriviamo a 330? Sempre meglio di niente», dice il leader leghista dopo il voto finale sul processo breve. E alla domanda sul timore di scarcerazioni per effetto della legge, Bossi aggiunge: «sono tutti giochi di prestigio della sinistra che ha fatto questa battaglia alla morte». Lasciando la Camera ai giornalisti che gli chiedevano se il Carroccio con questo voto abbia ingoiato un rospo amaro o abbia votato con piacere, il Senatur si è limitato a rispondere: «Abbiamo votato».

La seduta si è conclusa con i deputati dell'opposizione che mostravano la Costituzione verso i banchi della maggioranza e, subito dopo la proclamanzione del risultato, con l'esposizione di cartelli che ricordano quali e quanti processi finiranno sul binario morto della prescrizione. La temperatura dell'aula era salita solo nel momento in cui il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha letto un passo del libro di Antonio Di Pietro sulla stagione di Tantentopoli. L'attuale leader dell'Idv, allora pm del pool di Milano, ricostruiva il percorso della tangente pagata da Raul Gardini al Pci per la fusione Enimont di cui si persero le tracce nelle stanze di Botteghe Oscure. Una rievocazione, quella di Cicchitto, accompagnata dal coro P2-P2 e Licio Gelli ripetuto e ritmato dai banchi dell'opposizione all'indirizzo del capogruppo Pdl.

La seduta odierna era iniziata con la ripresa dell'ostruzionismo delle opposizioni, ripartito sul processo verbale.I parlamentari di Pd e Idv sono intervenuti in massa sul processo verbale allo scopo di ritardare la ripresa dell'esame della proposta di legge, e in particolare sull'articolo 3 con la cosiddetta prescrizione breve, punto nodale del provvedimento.

Il Pd ha attaccato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, (difeso poi dal leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini), perché non dedicherebbe abbastanza attenzione alle esigenze delle opposizioni. «Da quando è sotto attacco di Pdl e Lega che chiedono le sue dimissioni - ha detto Roberto Giachetti del Pd - lei è il peggior presidente della storia». Fini, impassibile, ha proseguito con gli interventi sul processo verbale. Casini, invece, si è schierato al fianco di Fini: «Sono allibito dalle parole del tutte incongrue di Giachetti contro il presidente: se avevo qualche dubbio sulla sua terzietà, ora ogni dubbio è svanito. Qui ciascuno vuol tirare il presidente dalla sua parte, ma il presidente non si difende solo quando fa le cose che piacciono a noi...».

Pdl e Lega hanno messo sotto accusa il vicepresidente, Rosy Bindi, perché nella seduta notturna di ieri ha concesso 15 secondi di intervento ai deputati di opposizione dei gruppi che avevano finito i tempi contingentati.

Primo voto, vince la maggioranza.
Nella prima votazione della giornata , con 18 voti di differenza a favore della maggioranza, l'Aula ha respinto la richiesta avanzata da Giorgio La Malfa di invertire l'ordine del giorno.

No all'esclusione dell'omicidio colposo. La maggioranza ha soppresso l'emendamento, prima firmataria Donatella Ferranti (Pd), che prevedeva di escludere dalla prescrizione breve il reato di omicidio colposo. Il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, chiede al centrodestra un sussulto di dignità almeno in memoria e per rispetto dei cittadini de L'Aquila. Anche Benedetto Della Vedova (Fli) si appella al centrodestra: «Cercate di votare a favore dei cittadini de L'Aquila». Ma il centrodestra non ascolta e boccia la proposta di modifica. Così dai banchi dell'opposizione si alza il coro: «Vergogna! Vergogna!».

«Anche i processi per reati di omicidio colposo non saranno immuni dalla tagliola della prescrizione breve. Rientrano tra questi il processi sul terremoto dell'Aquila e della strage di Viareggio. Si tratta di processi molto lunghi e complessi con numerosissime parti civili e la necessità di lunghi e rigorosi accertamenti - dice la capogruppo Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti - È evidente che intervenire sulla durata massima della prescrizione del reato in questi processi è di per sè sbagliato e può avere, nel tempo, effetti drammatici. Le vittime esigono giustizia ed è incomprensibile che il legislatore si schieri dall'altra parte mettendo in dubbio la possibilità che si arrivi ad una sentenza definitiva nei tre gradi di giudizio. Quali sarebbero i vantaggi per lo Stato? Dov'è la ratio della legge? Perchè un imputato, seppur incensurato non dovrebbe pagare per una strage? La maggioranza ha votato contro il nostro emendamento solo per fare un favore a Berlusconi e facendo un passo indietro rispetto al pacchetto sicurezza del 2008 che aumentava i tempi della prescrizioni per omicidi colposi plurimi».

L'opposizione ha finito nel primo pomeriggio tutti i tempi a sua disposizione, così in conferenza dei capigruppo si è raggiunto l'accordo di arrivare alle dichiarazioni di voto finali in diretta tv per le 19. «Abbiamo fatto un'opposizione intransigente ma nel rispetto delle regole», dichiara il capogruppo del Pd, Dario Franceschini. Durante la conferenza dei capigruppo, Gianfranco Fini avrebbe messo i presidenti dei deputati di maggioranza e opposizione di fronte ad una scelta: o si va avanti nel dibattito, ma si perde la diretta tv (e al massimo si potrà arrivare comunque alle 23) o si accetta la finestra che offre la Rai dalle 19 alle 20.30 per votare in quel lasso di tempo davanti alle telecamere. I responsabili dei vari gruppi parlamentari hanno optato per la diretta tv. Iil capogruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto, avrebbe chiesto poi un impegno all'opposizione affinchè non ci siano «provocazioni» durante la ripresa televisiva. I responsabili di Lega e Pdl hanno chiesto di mettere a verbale che la sottoscrizione dei singoli emendamenti avvenuta poco prima del voto, ma a votazione aperta, non costituisse un precedente. Il presidente di turno, Rosy Bindi, aveva infatti tenuto aperta una votazione per consentire che tutti i deputati del centrosinistra sottoscrivessero la proposta di modifica al testo sulla prescrizione breve che aveva come prima firmataria Donatella Ferranti (Pd).

«Come opposizione abbiamo fatto di tutto contro questa vergogna. Ora però abbiamo finito i tempi a nostra disposizione e vogliamo denunciare quello che sta facendo la maggioranza in diretta tv affinchè i cittadini sappiano...», dice il presidente dei deputati del Pd Dario Franceschini. «La Rai aveva aperta solo una finestra dalle 19 alle 20.30 - interviene il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl) - e così si è raggiunta l'intesa tra tutti i gruppi di far sì che le dichiarazioni di voto e il voto avvenissero a quell'ora». «Il provvedimento - aggiunge Franceschini - si sarebbe dovuto votare circa due settimane fa. Loro erano convinti di poterlo approvare in un giorno, un giorno e mezzo. E invece con la nostra opposizione siamo riusciti a tenere aperta il più possibile la finestra su questa vergogna!. Oggi gli abbiamo rivolto anche un ennesimo appello: di escludere dal testo della prescrizione breve il reato di omicidio colposo plurimo, quello che farebbe prescrivere prima il processo dell'Aquila. Ma neanche su quello hanno voluto ascoltarci. Aggiungendo così vergogna a vergogna».

Via libera all'articolo 3 sulla prescrizione breve, considerato il cuore del provvedimento in quanto accorcia i tempi della prescrizione per gli incensurati, è passato con 306 sì e 288 no. L'Aula ha poi respinto a scrutinio segreto con 316 sì e 288 a favore una parte di un emendamento dell'Idv al terzo articolo. Il voto segreto era stato richiesto dal Pd. Il risultato è stato salutato con un boato dai banchi della maggioranza. Con il centrodestra hanno votato alcuni deputati dell'opposizione. Secondo fonti della maggioranza, sarebbero stati una dozzina i deputati dell'opposizione a votare contro. Dopo il voto, dai banchi dell'Idv hanno urlato «libertà, libertà».