Stiamo vivendo un momento buio della storia. Non solo sul piano politico, istituzionale, civile. Stiamo brancolando nel buio dell’etica, nel crepuscolo dei valori che danno un senso al vivere umano, alla solidarietà fra i popoli. Hanno ragione i sociologi del disincanto quando dicono che oramai siamo immersi nell’epoca delle passioni tristi, nella modernità liquida. Dopo aver annunciato la morte di Dio con il folle uomo nietzschano alla fine dell’Ottocento – ha chiarito in maniera limpida lo psicanalista Luigi Zoja in un recente incontro a Bolzano – ora abbiamo decretato la fine della seconda relazione costitutiva dell’essere umano, quella che ha come soggetto il prossimo. La morte del prossimo coincide con la morte dell’etica, con la fine di ogni valore davvero umano, con lo sprofondamento nell’individualismo che assume i connotati del razzismo e della xenofobia. Il prossimo non c’è più. Non solo non si ascolta il suo lamento lasciandolo sulla strada morente, o lasciandolo affogare nel mare dei disperati,. ma non ne percepiamo nemmeno più la presenza scandalosa. Il prossimo è respinto, rifiutato, negato. Cosa sappiamo delle moltitudini di uomini, donne, bambini che cercano disperatamente di raggiungere le nostre coste per aspirare ad una vita migliore? Chi si preoccupa di ascoltare i loro racconti? Chi attesta se queste persone sono in effettivo pericolo di vita e chiedono un aiuto per poter sopravvivere alla guerra, alla discriminazione, al pericolo, alla fame, all’ingiustizia? Chi sono i migranti che ogni giorno rischiano la vita prendendo la via del mare nella speranza di essere accolti nell’Europa Casa Comune, in quel vecchio continente che si vanta di essere la culla della democrazia? Il Mediterraneo, il Mare Nostrum è diventato Mare Monstrum. Ogni giorno divora, nelle sue viscere, i disperati che azzardano la sfida del tempo e della precarietà. Il cimitero del prossimo è lì, nei fondali di un mare dove sono sepolti gli anonimi respinti dal governo, i poveri Cristi su cui ogni giorno si depositano le lingue di fuoco dell’intolleranza e del razzismo. Sono i dannati della terra che oltre tutti gli oltraggi sono costretti a subire le più indicibili violenze verbali e le più ributtanti chiusure politiche. Ci sono braccia che si allungano, ci sono uomini che si lanciano nell’aiuto. Ma sono i volenterosi che presidiano le coste. Altri vorrebbero dispiegare la marina, chiudere il varco con gli eserciti e addirittura ipotizzare di sparare al prossimo, annientandolo anche fisicamente.
Un cinismo non solo italiano. Il prossimo è morto. Nessuno lo riconosce. Perfino le più avanzate democrazie europee, che nei decenni passati hanno avuto pressioni migratorie molto più cospicue delle nostre, oggi dicono: “Non c’è posto, non venite, non azzardatevi”. Il prossimo e Dio, uniti nella morte e nella denigrazione. Fra pochi giorni festeggeremo la pasqua di resurrezione del Signore. Una pasqua che passa inevitabilmente per il Venerdì santo. Il giusto viene condannato a morte con i sigilli del potere e con il clamore manipolato del popolo. E’ la stessa morte dei migranti, divorati dal Mediterraneo inospitale, rifiutati con i sigilli del potere, respinti dalle leggi, inascoltati dal clamore di un popolo allarmato da una propaganda martellante di morte, di paura, di insicurezza, di paranoie identitarie, di pregiudizi e di vittimismo. Non si può celebrare il venerdì santo senza i migranti. Non avrebbe alcun significato. Ricordiamo il monito di Bonhoeffer durante il nazismo: “Come possiamo cantare in gregoriano nelle nostre chiese mentre si ammazzano col gas gli ebrei? E noi, possiamo cantare nelle nostre chiese la pasqua di resurrezione senza pensare agli anonimi che ogni giorno muoiono nel mare, con il sogno, ancora vigile, di un riscatto possibile? Possiamo celebrare la messa pasquale senza pensare ai bambini stramazzati dal freddo, dalla fame, dal naufragio? Senza pensare alle donne annegate e trascinate dall’acqua? Venerdì santo si ricorda la morte del giusto. Noi ricorderemo le morti anonime trafitte dall’intolleranza e dal rifiuto. Credenti e non credenti che hanno a cuore i valori profondi dell’umanità possono ritrovarsi davanti al comandamento di Dio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non come un altro distaccato da te, ma come il tuo te prolungato, come la parte di te. Fare digiuno il venerdì santo significa entrare in un rapporto di empatia con i poveri dimenticati, con il dramma di quei barconi affondati nel mare, con la sofferenza e la disperazione dei familiari che sono sopravvissuti perdendo figli, mogli, mariti, amici. Fare silenzio significa uscire dal caos delle parole e commemorare la morte del prossimo E’ una nonviolenza dei segni. Venerdì santo sarà una giornata dedicata ai migranti morti nel Mediterraneo. Il venerdì santo dei migranti. Ognuno di noi si impegnerà a fare digiuno (anche di internet) e a fare silenzio immergendoci con la mente e con il cuore nei fondali del mare, portando un segno di amicizia nel cimitero dei dannati. Possiamo darci la mano nelle varie realtà d’Italia, scendere per strada in circoli per fare silenzio e commemorare la morte dei prossimi divenuti tremendamente lontani, anzi, divenuti invisibili e impercettibili. Venerdì santo sia allora un venerdì dedicato ai migranti, alle loro soffereze, alle morti e ai sogni di speranza.
mercoledì 20 aprile 2011
Il Venerdì Santo dei migranti
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