Un’anziana signora di Regalbuto, una mattina di qualche anno fa, colta da infarto con un’autoambulanza del 118 fu trasportata all’Ospedale “Ferro Branciforte Capra” di Leonforte dove venne ricoverata per le cure del caso. Nel corso della nottata, le sue condizioni si aggravarono e quindi i medici decisero il trasferimento presso l’Utic (Unità di terapia intensiva cardiologiaca) di Enna. A raccontarcelo fu l’anziano marito, incontrato per caso, il quale preoccupatissimo non si riusciva a capacitare del perché la moglie fu portata all’Ospedale Branciforti che non ha la Terapia intensiva, perdendo tempo prezioso, e non invece a Enna. La risposta all’interrogativo dell’anziano signore ce la diedero alcuni addetti del 118. “Il personale delle ambulanze ha l’obbligo di trasportare l’ammalato soccorso all’ospedale di riferimento o più vicino”. E l’ospedale di riferimento, per gli abitanti di Regalbuto, è Leonforte. “E’ vero –ci confermò allora un dirigente dell’ex Ausl-. Una persona soccorsa da un’ambulanza deve essere trasportata all’ospedale più vicino o di riferimento. Se, ad esempio, un cittadino di Pietraperzia viene colto da un malore di una certa gravità si trasporta all’ospedale di Mazzarino, anziché a quello di Caltanissetta. E’ un non senso, purtroppo è così”. Con il dirigente parlammo anche della sanità in provincia di Enna. “Io sono del parere –ci disse- che per la salute si può e si deve far tutto. Però è anche vero che gli ospedali in provincia di Enna, soprattutto quelli di primo livello, sono troppi e non danno quella garanzia effettiva che il paziente vorrebbe avere . E le spiego subito il perchè. Un ospedale che non abbia un pronto soccorso con rianimazione e l’Utic, finisce con non essere adeguatamente attrezzato per i casi più complessi, più gravi. In una provincia piccola come la nostra, con meno di 180 mila abitanti, ci troviamo ad avere una azienda ospedaliera, che è l’Umberto I, più tre ospedali di primo livello, Nicosia, Leonforte e Piazza Armerina, ma aggiungiamoci anche l’Oasi di Troina, dove ritengo che abbiamo tanti inutili reparti fotocopie. Per il cittadino non costituiscono veramente un punto di riferimento, soprattutto per i casi estremi e per quelli più gravi. E allora, sarebbe più giudizioso, a mio parere, rimodulare la rete d’offerta, i servizi territoriali e questi piccoli ospedali, potenziando ed esaltando, invece, l’Umberto I che è un’azienda ospedaliera di riferimento della provincia. Nel contempo, organizzarci nel territorio in maniera tale da potere avere, ad esempio, delle ambulanze con medico a bordo che possa supportare le funzioni vitali per trasportare in piena sicurezza il paziente nel centro più idoneo e più vicino dove ci sono la rianimazione e l’Utic”. In quell’occasione parlammo anche del progetto della “Casa della Salute”. Un’idea che piacque molto all’ex ministro Turco tanto che diede ufficialmente il via alla sperimentazione. Nella nostra provincia ne dovevano nascere due. La Casa della Salute –secondo quanto ci spiegò il dirigente- doveva essere “un’ alternativa all’ospedale dando continuità assistenziale al cittadino 24 ore su 24 e, contemporaneamente, decongestionare i pronto soccorso”. L’obiettivo era di “riunire in un unica struttura medici di famiglia”, che dovevano lavorare in rete, “guardia medica, specialisti ambulatoriali, servizi di diagnostica di radiologia e di laboratorio. Ma anche altri servizi importanti, quali la materno-infantile, le tossicodipendenze, la salute mentale, l’assistenza domiciliare, la prevenzione, i consultori, ecc.”. “Una progettualità ritengo –concluse il dirigente- molto bella. E’ una grande, enorme scommessa che vorremmo riuscire a vincere e fare assieme con i comuni, con gli enti locali e coinvolgendo il terzo settore. La casa della salute, molto probabilmente, si potrebbe rivelare il migliore antitodo contro l’inefficienza e i gli sprechi che finora si sono registrati”. Quella scommessa, purtroppo, fu completamente persa.
Giacomo Lisacchi
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