(rp) Prendete una terra che abbia la metà della bellezza e del fascino della Sicilia e datela a un ragioniere di Stoccoloma. La renderà un paradiso. Prendete il paradiso e datelo a un presidente della Regione Sicilia a caso. C’è bisogno di dire cosa succederebbe, quando è già successo. Sì, certo, Bocca il leghista, il razzista e il qualunquista. E noi? Ci vantiamo di non avere l’anello al naso. Eppure votiamo sempre nel modo peggiore, dissezioniamo la meraviglia della nostra patria con entusiasta ferocia. Siamo siciliani: la gente peggiore che c’è. Slanci di poesia e munnizza, folclore e disperazione. E quell’idea che abbiamo di essere unici, immortali, inimitabili. E invece siamo solo presuntuosi, nell’arroganza che ha reso un deserto il nostro Eden.
E’ la storia collettiva di un popolo che conta, non soltanto i suoi esempi fulgidi. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – per dire -, loro e gli altri che hanno sostenuto il peso di un infinito sacrificio, delineano l’eccezione nobile siciliana. Non la regola. La prassi da noi è la mafia come struttura criminale, la mafiosità come moneta di scambio nei legami privati. Non valgono le leggi, i regolamenti, le norme dell’esistenza in comunità. Vincono gli attributi sul tavolo. Che si cerchi un lavoro o si organizzi una faida, il principio non muta: bisogna attrezzarsi, insinuandosi nelle grazie di un potente. Cedere libertà per ricevere protezione.
Così, in Sicilia, la tenerezza del rapporto personale è diventata garanzia di iniquità. Tu conosci me, io conosco te. Chi è fuori dal cerchio magico si accomodi nella tana dei reclusi. La biografia della Sicilia, del Sud dei siciliani è una trama nera di scempio civile, politico e sociale che le poche fiammelle in senso contrario dolorasamente esaltano. La munnizza e lo schifo vengono molto dopo la distorsione originaria. Bocca razzista? Ma per piacere.
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