L’ex comunista che ama il Vangelo e cita Che Guevara è già alle prese con il toto-assessori, una squadra che vedrà rappresentata Messina, così come Messina è stata determinante
alla sua elezione. Il neo Presidente della Regione,Rosario Crocetta ha escluso inciuci all’Ars così come
vita breve, rassicurando Musumeci, “Stia tranquillo, sono certo che su 90
deputati troverò qualcuno disposto a lavorare per il bene della Sicilia”,
annuncia l’azzeramento della consulenze e mette alla porta gli alti papaveri
della burocrazia siciliana “Stavo per disporre un censimento delle consulenze
inutili. Ma poi ho deciso: come mi consente di fare la legge le revoco tutte.
Vale anche per i dirigenti, i direttori generali”. La prima testa a cadere sarà
quella diAlbert, il super-esperto alla formazione del
governo Lombardo. Il primo taglio di Crocetta sarà sul suo stipendio, la prima proposta
di legge: nessun incarico né candidatura per indagati per mafia, corruzione ed
associazione a delinquere. Nessuna indiscrezione sugli assessori, l’unica
certezza è Lucia
Borsellino alla sanità,
così come altrettanto certa sarà l’assenza dell’ex assessore “la collaborazione
con Massimo Russo non è in agenda”, e del resto gli alleatiUdc avrebbero alzato le barricate
sull’autore di una riforma contestata quotidianamente dai centristi. Quanto ai
nomi della sua giunta il neo Presidente ha escluso pressioni e lo stesso Francantonio Genovese ha dichiarato che da parte del Pd non ci saranno. Quel che è certo è che
il peso dei voti messinesi, che hanno portato Crocetta in riva allo Stretto ad oltre il 34%, si farà sentire. In casa Pd (risultato il primo partito) il neo
confermato Franco
Rinaldi ha
superato la soglia dei 18
mila consensi e
per lui dovrebbe essere pronta una poltrona in giunta, anche se non è esclusa
la Presidenza dell’Ars. Del resto il Pd siciliano, rispetto al 2008, ha perso in
termini di percentuali e di deputati, ma proprio a Messina ha retto l’ondata di
protesta ed incassato altre preferenze quindi Genovese farà valere i numeri. Quanto all’Udc il posto nella giunta Crocetta è per Giovanni Ardizzone (Beni culturali e turismo? Presto per
dirlo) mentre appare improbabile la Presidenza
dell’Ars, mentre non
è da escludere la vicepresidenza
del governo regionale. Del
resto il primo a fare il passo in avanti, spiazzando la stessa segreteria
regionale Pd
che ignorava Crocetta e guardava altrove è stato il
segretario regionale dell’Udc Gianpiero D’Alia, sfidando ed incassando tutte le accuse
piovute agli ex cuffariani da sinistra e da destra per un’alleanza
“contro-natura”. Patto che alla fine ha retto e che porterà un Udc messinese, Ardizzone,direttamente in giunta. Sulla poltrona
di Cascio, la Presidenza dell’Ars, il M5S ha proposto una donna ( colpo di scena,
ce ne sono 15 ), e c’è anche chi ipotizza un’apertura
all’opposizione. E’ ancora presto per dirlo e i giochi sono aperti. Ma c’è
un’altra novità. Pochi giorni prima del voto Crocetta ha incontrato il commissario Croce che gli ha esposto chiaramente la
drammatica situazione della città alle prese con il rischio default. E tra le
prime cose in agenda c’è proprio il caso
Messina.
IL RACCONTO DELLE ELEZIONI
Le paludi di Sicilia
Sabato 27 Ottobre 2012 - 07:00 di Pietrangelo Buttafuoco
La Sicilia va al voto tra contraddizioni e vecchi vizi. Tutto è cambiato eccetto la prima e necessaria urgenza: togliere la Sicilia alla Sicilia. Come sognava di fare il maresciallo di Sedotta e abbandonata di Germi, che cancellava l'Isola dalla carta geografica. Dall'inserto del Foglio di oggi, il grande circo del voto siciliano, da Cuffaro a Lucia Borsellino, raccontato dalla penna di Pietrangelo Buttafuoco
Tra ieri, oggi e domani, in tema di campagne elettorali di Sicilia, qualcosa deve essere cambiato. E non solo perché nel frattempo c’è stato Beppe Grillo, non solo. Traversando con superbe bracciate lo Stretto, il capo di Cinque stelle ha definitivamente convinto tutti della vanità chimerica del Ponte. Se uno di sessanta e rotti anni come lui se la fa a nuoto – questo è il ragionamento – è segno che vince sempre Colapesce.
Il mito sovrasta tutto, anche l’assistenzialismo. Tanti Lupucuvii incarogniti dicevano che Grillo avesse una corda sottacqua e sottopancia per aiutarsi. Il vizio dei siciliani è di saperla sempre troppo lunga per poi perdersi nell’acqua lorda dello scetticismo, ma l’Isola deve ancora svegliarli tutti i suoi miti ed è, ahimè, ancora la stessa del celeberrimo fotogramma di “Sedotta e abbandonata”, il film di Pietro Germi. È quello dove si vede un maresciallo dei carabinieri, insofferente e paziente al contempo, suggestionato all’idea di cancellarla per sempre la bedda Sicilia dalla cartina geografica.
Tra ieri, oggi e domani, tutto è cambiato eccetto la prima e necessaria urgenza: togliere la Sicilia alla Sicilia. Il maresciallo di Germi, infatti, mette la mano sopra la mappa e si gode l’effetto bellissimo di non vederla più quella Triskele seduttrice mentre la Calabria, sola soletta, fa mostra di essere solo un piedino appena ritrattosi dai flutti di Scilla senza più Cariddi.
Tra ieri, oggi e domani – con le chiamate in piazza del popolo sovrano – c’è tutto il racconto ambiguo della conquista e dell’esercizio del potere nella terra irredimibile in assoluto, nella palude del potere qual è oggi ridotta la Sicilia dove i Ludi Cartacei sono solo un concorso pubblico per l’assegnazione di posti cui far seguire – come nell’economia dell’indotto – la fiumana dei beneficiati e dove il ricordo di Verre, il corruttissimo Gaio Licinio Verre, propretore di Sicilia dal 73 al 71 a.C., simbolo di corruzione, ruberie e concussioni, fustigato da Cicerone, è diventato un foglio di versione per il liceo e non più parametro se poi…
E va bene: c’è oggi, ci fu ieri e ci sarà domani. C’è stata la spacchiosissima riforma della sanità avviata dal discepolo di Paolo Borsellino, Massimo Russo che è assessore del governo regionale che chiude i battenti domani. Si rinnoverà il Parlamento, ci sarà l’elezione del nuovo presidente ma le verrine viste in questa campagna elettorale fanno di quelle ciceroniane una cosa tipo acqua fresca. Vedere insomma, dopo tutta la mobilitazione del dottore Russo, vedere dunque, dopo che negli ospedali di Sicilia è stato tutto un fragore di scope nuove, vedere infine, dopo che perfino Lucia Borsellino, la figlia, è stata al fianco del Russo, tutta la buona volontà fatta di efficienza, onestà, dignità e onore risolversi con la scena dei medici costretti a tenere la bandierina in mano è cosa da raccapriccio.
Con il voto di scambio si trova il lavoro e fu cosa di oggi, non di ieri, speriamo mai più domani, quella di trovare dirigenti di aziende sanitarie, primari, aiuti, medici, infermieri e titolari di cattedra fare la ola, a Catania, al cinema Odeon, con gli stendardi del partito autonomista in pugno alla presentazione della candidatura del figlio del presidente della Regione. Questi, un bellissimo ragazzo, era attorniato da vigilantes, uno dei quali con la masticogna in bocca, ma quelli, tutti quelli – mischini!, trattasi dei signori dottori – facevano la processione per farsi almeno scorgere dal dante causa e farsi trovare tutti sorridenti, tutti prodighi di applausi e ben felici di fare sì con la testa. Laureati in piaggeria che non s’avvedono del ridicolo intorno a loro, di questo si tratta, proprio come i cani di pezza nei lunotti della Seicento Multipla che avevano una molla all’interno del collo e venivano adoperati per rallegrare l’ambiente grazie all’effetto inchino…
Ecco, quando si dice il parametro, chi rispetta il cane, rispetta il padrone, un certo confrontaccio potrà sempre farsi. Ieri, oggi e domani, con il qualcosa che è cambiato, non si può fare amarcord se poi la memoria è arma elettorale. Qui si comincia con le dolenti note e si sconfina in zona bestemmia ma chissà quale segreto sentimento avrà spinto Lucia Borsellino, figlia di Paolo, ad accettare di schierarsi con Rosario Crocetta. Del dandy di Gela, candidato del Pd e dell’Udc, non si può dire che abbia dietro il presidente uscente della regione perché, in verità, ce l’ha proprio davanti tanta è lunga la mano del potere e se la blasfemia è qui conseguente, mio malgrado ne conseguo: Lucia, figlia di Paolo, sta con Crocetta; Rita, sorella di Paolo, sta con Giovanna Marano, candidata alla presidenza per Sel e Idv; Salvatore, fratello di Paolo, verosimilmente, preso com’è dalle battaglie del Fatto e dall’ingroismo (frutto dell’insegnamento di Paolo, va da sé), lo immagino dalla parte di Grillo.
Ecco, quando si dice lo sproposito: antimafia che vai, elezione che trovi. E poiché tra ieri, oggi e domani, ogni stagione politica ha i suoi veleni, è così che ogni campagna in Sicilia diventa tutto un andare e venire di scheletri dagli armadi di cui avere solo ripugnanza. E sono teschi che ogni volta allungano il collo come fanno i galli a pizzicare.
Quando si dice, poi, l’antimafia contro un’altra antimafia. Simona Vicari, esponente del Pdl, invita la dottoressa Borsellino a fare una riflessione a proposito di Antonio Malafarina, ex vicequestore, oggi candidato con Crocetta, già poliziotto a Gela al tempo in cui il nostro dandy era sindaco “antimafia”. Ebbene, nel 2003, il Malafarina, in un documento ufficiale della questura di Caltanissetta gridò ma senza fare chiasso, insomma, così scrisse: “Va comunque rilevato, per quanto a conoscenza di questo ufficio, che la campagna elettorale del Crocetta sarebbe stata in parte condotta da Celona Emanuele, oggi collaborante, esponente di Cosa Nostra, appartenente alla cosca mafiosa degli Emmanuello, più volte notato in compagnia del Crocetta che frequentava la libreria del Celona il quale avrebbe reso dichiarazioni in merito a tale supporto elettorale…”.
Ecco, dunque: antimafia che vai, elezioni che trovi. E’ faccenda tipica di Sicilia quella del poliziotto che sposa poi la causa politica del soggetto pedinato. Anche il nostro adorato Totò Cuffaro, all’epoca, mise in lista – per farne un deputato – il maresciallo Antonino Borzacchelli. Era, appunto, un suo pedinatore e deve essere qualcosa di simile a ciò che capita agli agenti dei servizi segreti americani quando, a forza di intercettare presunti terroristi islamici, condividendone le pie giornate, alla fine si convertono e perdono l’impiego. In questo caso, invece, in caso di vittoria elettorale di Crocetta, Malafarina potrà ben impastare nuovo e più lussuoso pane, ripagando con soddisfazione la fatica di un paio di mesi di propaganda con tutti quei manifesti, affacciati di qua e di là dai muri delle città e dei paesi remoti, che da ieri, come oggi e anche domani, si godono la scena. Fosse pure dai muri tutti incastrati tra le viuzze strette e sassose che vanno a spalancarsi tra i canneti e i campi sabbiosi di Gela.
Ieri, come oggi, come domani, ogni campagna elettorale è epica a sé. Ricordo quando, ad Agira, arrivava Lillo Mannino. Intorno a lui la folla si faceva a grappoli, facce nuove di forestieri rammodernavano la piazza immobile, poi, nel resto degli altri giorni. Veniva giusto per far vendemmia di consensi, Lillo, era ministro dell’Agricoltura per la Democrazia cristiana e i vecchi comunisti ne commentavano la scelta con vive congratulazioni: “Lillo è un esperto di cose contadine”. Pancrazio De Pasquale, mitico onorevole del Pci, già presidente del Parlamento siciliano, faceva una glossa sulla parola “esperto”: “Compagni, precisiamo. Lillo non è solo esperto, è ‘sperto”. E sperto vuol dire in gamba, valente, lesto e pratico di una scienza altrimenti sconosciuta presso i sicilianuzzi sempre troppo paesani. Sperto è anche avere l’uso di mondo.
Ieri, oggi e domani. I comizi dei democristiani non toccavano le corde del cuore. Erano più sanguigni i comunisti e – inutile dire – i fascisti. Insuperabili, quest’ultimi, nell’arte della parola. Tutto comincia con Gaetano Laterza, autore anche de “I vice vicerè”, un libro sui protagonisti di Sala d’Ercole, il Parlamento di Sicilia che è anche l’assemblea più antica d’Europa e poi – più avanti nel tempo – la piazza per eccellenza della destra sarà quella di Enzo Trantino, oratore magnifico cui si deve l’invenzione dello slogan reversibile: “L’onore del coraggio, il coraggio dell’onore”. Volle personalmente mettere fine al calembour quando con piglio luciferino Trantino alzò per se stesso la palla alla battuta: “Il culo nella presa, la presa per il culo”.
Domani, oggi e ieri. Ci si stiracchiava pigiati nella mischia dei saluti e degli applausi, i comizianti erano delle vedette e siccome in Sicilia, grazie a Dio, non c’è stata mai la gramigna dell’odio politico, erano più i cori di sfrenata ilarità che le aspre risse consumate sempre sottovoce e magari tra i corridoi dei congressi, dei convegni e dei ritiri spirituali.
Certe coltellate silenziate come quelle date nei conciliaboli dei gesuiti manco al chiuso di una stanza, in un appartamento alla Kalsa, al tempo dell’emiro buonanima, si sono viste perché, infine, ieri, oggi e domani, in Sicilia, è come dire sempre.
I siciliani sono figli di Gorgia, pratici di retorica, battono le mani ai fini dicitori e ai mattatori – come oggi con Beppe Grillo – ma hanno avuto Verre e perciò sono di panza, aspettano la sostanza e l’episodio chiave che ne svela il profondo è quello del viaggio elettorale in Sicilia che si fece Indro Montanelli, nel 1952, accompagnando Sua Eccellenza, l’ambasciatore Filippo Anfuso.
La storia è proprio deliziosa. Immaginate i due, eleganti e spiritosi. Tutti e due alti, foderati di sartoria, e però militari nel passo. Tutti e due con quegli occhi spietati per via delle donne falciate come niente, al loro passaggio in un viaggio lungo, in treno, tra vagone ristorante e scompartimenti. Si pregustano la prima sosta, a Castelvetrano. “Ecco”, dice Anfuso a Montanelli, “stasera io comizierò nel paese di Giovanni Gentile. Abbi cura di non prendermi in giro se farò sfoggio di retorica. Lo sai. E’ questo che la gente vuole: parole al vento”. Il giornalista risponde con un sorriso, arrivano infine, viene sera e si portano nella piazza del comizio. Ed è, come sempre, uno sfoggio di alta oratoria scientemente calibrata da Anfuso per arrivare all’applauso sicuro, ricordando l’illustre concittadino, ovvero Giovanni Gentile. Anfuso evoca il nome del filosofo ma niente, nessun battere di mani. Eppure la piazza mostra come un unico sorriso, tanti passaggi sono fermati dall’acclamazione ma una seconda citazione di Gentile e poi una terza e un’altra volta ancora non riescono a smuovere la folla raccolta intorno al podio. Niente di niente. Zero applausi per ogni volta che viene nominato Giovanni Gentile, un nome, in quel suo paese, che è come un macigno sul petto.
Il comandante della polizia municipale batte l’indice sull’orologio, finisce il comizio, la folla si accalca sul podio e Anfuso, scendendo gli scalini, dal segretario della sezione locale del Msi che pur si felicita si sente dire: “Eccellenza, ma proprio a Gentile doveva nominare nel suo comizio? Fu ministro della Scuola e un favore, una nomina, una promozione, un trasferimento, almeno uno, qui in paese non lo volle mai fare!”.
Ieri, oggi e domani. E chissà che a partire da adesso le campagne elettorali di Sicilia saranno fredde e imperscrutabili come quella che si conclude stanotte, a mezzanotte. Se non ci fosse stato Grillo manco a Villa San Giovanni avrebbero saputo della campagna elettorale in corso. Inutile dire di quello che succederà nottetempo. Mandrie di voti saranno spostate come neanche nel più complicato transumare di stanche vacche dove nessuna si perde e ognuna, pronta alla mungitura, offre la più soda e piena delle mammelle. Stanotte, tutto stanotte si farà perché come ieri, anche oggi e soprattutto domani, è sempre l’ultimo momento quello che cancella vergogna e avvilimento in chi è solito fare gruzzolo anche a dispetto della dignità.
E poi, certo – ieri, oggi e domani – ci fu il fatto di qualche settimana fa, quando Totò Cuffaro è tornato in paese per andare al capezzale del padre malato. E’ stato applaudito e siccome qualcosa deve essere cambiato fa fede quello che mi ha detto l’amico Ciccio, Ciccio Tumeo per la precisione: “Pure io ce li battevo le mani a Totò se solo l’avessi avuto davanti, a Raffadali, sotto casa sua, o sull’aeroplano, scendendo in Sicilia da Rebibbia. Ovunque avessi avuto modo di vedere a Totò che è un amore, un santo cristiano, uno che la galera se la sta sucando tutta e senza dire pio, gli avrei fatto tanto di cappello. E pure io, dunque, non vedo l’ora di darci un bacio a Totò che è, errori a parte, un esempio di cugghiunutu come mai ce ne sono stati specialmente nella Sicilia bedda dove gli uomini di panza, questi bastardi, sono sempre sepolcri imbiancati. Gente che non paga dazio e che della strafottenza ne fa vanto. A Totò che si mangiò i cannoli se lo consumarono tutti i telegiornali, facendolo uomo nero di ogni malefatta. Al suo successore che ancora fino a ieri ha fatto nomine a tinchitè, facendo mangiare denari a tutti i clienti, nessuno ha detto niente, specialmente nella nostra Sicilia dove stiamo tutti col cappello in mano mentre a Totò, il nostro Totò, a cui volentieri tanti ci battono le mani, glieli fanno gli applausi perché – sotto sotto – con lui si celebra ‘u tintu accanusciuti (il cattivo notorio) rispetto al tintissimo (il cattivissimo) che nessuna ventura potrà levarci mai più. Manco queste elezioni dove uscendo dalla porta, il suo successore, rientrerà direttamente dalle fogne delle segrete trattative con tutti i partiti, Pd in testa”.
Ieri, oggi, domani. Cosi? “Così. E se poi ancora c’è qualcuno che si fa venire il sangue in testa pensando a Totò, se ancora ne fanno lo zenit del peggio, se lo odiano e non si fanno la croce con la mano manco davanti a un poverocristo carzarato, è solo perché non hanno ancora elaborato il necessario distacco storico. E si tengono ‘u tintissimo per sempre”.
Il mito sovrasta tutto, anche l’assistenzialismo. Tanti Lupucuvii incarogniti dicevano che Grillo avesse una corda sottacqua e sottopancia per aiutarsi. Il vizio dei siciliani è di saperla sempre troppo lunga per poi perdersi nell’acqua lorda dello scetticismo, ma l’Isola deve ancora svegliarli tutti i suoi miti ed è, ahimè, ancora la stessa del celeberrimo fotogramma di “Sedotta e abbandonata”, il film di Pietro Germi. È quello dove si vede un maresciallo dei carabinieri, insofferente e paziente al contempo, suggestionato all’idea di cancellarla per sempre la bedda Sicilia dalla cartina geografica.
Tra ieri, oggi e domani, tutto è cambiato eccetto la prima e necessaria urgenza: togliere la Sicilia alla Sicilia. Il maresciallo di Germi, infatti, mette la mano sopra la mappa e si gode l’effetto bellissimo di non vederla più quella Triskele seduttrice mentre la Calabria, sola soletta, fa mostra di essere solo un piedino appena ritrattosi dai flutti di Scilla senza più Cariddi.
Tra ieri, oggi e domani – con le chiamate in piazza del popolo sovrano – c’è tutto il racconto ambiguo della conquista e dell’esercizio del potere nella terra irredimibile in assoluto, nella palude del potere qual è oggi ridotta la Sicilia dove i Ludi Cartacei sono solo un concorso pubblico per l’assegnazione di posti cui far seguire – come nell’economia dell’indotto – la fiumana dei beneficiati e dove il ricordo di Verre, il corruttissimo Gaio Licinio Verre, propretore di Sicilia dal 73 al 71 a.C., simbolo di corruzione, ruberie e concussioni, fustigato da Cicerone, è diventato un foglio di versione per il liceo e non più parametro se poi…
E va bene: c’è oggi, ci fu ieri e ci sarà domani. C’è stata la spacchiosissima riforma della sanità avviata dal discepolo di Paolo Borsellino, Massimo Russo che è assessore del governo regionale che chiude i battenti domani. Si rinnoverà il Parlamento, ci sarà l’elezione del nuovo presidente ma le verrine viste in questa campagna elettorale fanno di quelle ciceroniane una cosa tipo acqua fresca. Vedere insomma, dopo tutta la mobilitazione del dottore Russo, vedere dunque, dopo che negli ospedali di Sicilia è stato tutto un fragore di scope nuove, vedere infine, dopo che perfino Lucia Borsellino, la figlia, è stata al fianco del Russo, tutta la buona volontà fatta di efficienza, onestà, dignità e onore risolversi con la scena dei medici costretti a tenere la bandierina in mano è cosa da raccapriccio.
Con il voto di scambio si trova il lavoro e fu cosa di oggi, non di ieri, speriamo mai più domani, quella di trovare dirigenti di aziende sanitarie, primari, aiuti, medici, infermieri e titolari di cattedra fare la ola, a Catania, al cinema Odeon, con gli stendardi del partito autonomista in pugno alla presentazione della candidatura del figlio del presidente della Regione. Questi, un bellissimo ragazzo, era attorniato da vigilantes, uno dei quali con la masticogna in bocca, ma quelli, tutti quelli – mischini!, trattasi dei signori dottori – facevano la processione per farsi almeno scorgere dal dante causa e farsi trovare tutti sorridenti, tutti prodighi di applausi e ben felici di fare sì con la testa. Laureati in piaggeria che non s’avvedono del ridicolo intorno a loro, di questo si tratta, proprio come i cani di pezza nei lunotti della Seicento Multipla che avevano una molla all’interno del collo e venivano adoperati per rallegrare l’ambiente grazie all’effetto inchino…
Ecco, quando si dice il parametro, chi rispetta il cane, rispetta il padrone, un certo confrontaccio potrà sempre farsi. Ieri, oggi e domani, con il qualcosa che è cambiato, non si può fare amarcord se poi la memoria è arma elettorale. Qui si comincia con le dolenti note e si sconfina in zona bestemmia ma chissà quale segreto sentimento avrà spinto Lucia Borsellino, figlia di Paolo, ad accettare di schierarsi con Rosario Crocetta. Del dandy di Gela, candidato del Pd e dell’Udc, non si può dire che abbia dietro il presidente uscente della regione perché, in verità, ce l’ha proprio davanti tanta è lunga la mano del potere e se la blasfemia è qui conseguente, mio malgrado ne conseguo: Lucia, figlia di Paolo, sta con Crocetta; Rita, sorella di Paolo, sta con Giovanna Marano, candidata alla presidenza per Sel e Idv; Salvatore, fratello di Paolo, verosimilmente, preso com’è dalle battaglie del Fatto e dall’ingroismo (frutto dell’insegnamento di Paolo, va da sé), lo immagino dalla parte di Grillo.
Ecco, quando si dice lo sproposito: antimafia che vai, elezione che trovi. E poiché tra ieri, oggi e domani, ogni stagione politica ha i suoi veleni, è così che ogni campagna in Sicilia diventa tutto un andare e venire di scheletri dagli armadi di cui avere solo ripugnanza. E sono teschi che ogni volta allungano il collo come fanno i galli a pizzicare.
Quando si dice, poi, l’antimafia contro un’altra antimafia. Simona Vicari, esponente del Pdl, invita la dottoressa Borsellino a fare una riflessione a proposito di Antonio Malafarina, ex vicequestore, oggi candidato con Crocetta, già poliziotto a Gela al tempo in cui il nostro dandy era sindaco “antimafia”. Ebbene, nel 2003, il Malafarina, in un documento ufficiale della questura di Caltanissetta gridò ma senza fare chiasso, insomma, così scrisse: “Va comunque rilevato, per quanto a conoscenza di questo ufficio, che la campagna elettorale del Crocetta sarebbe stata in parte condotta da Celona Emanuele, oggi collaborante, esponente di Cosa Nostra, appartenente alla cosca mafiosa degli Emmanuello, più volte notato in compagnia del Crocetta che frequentava la libreria del Celona il quale avrebbe reso dichiarazioni in merito a tale supporto elettorale…”.
Ecco, dunque: antimafia che vai, elezioni che trovi. E’ faccenda tipica di Sicilia quella del poliziotto che sposa poi la causa politica del soggetto pedinato. Anche il nostro adorato Totò Cuffaro, all’epoca, mise in lista – per farne un deputato – il maresciallo Antonino Borzacchelli. Era, appunto, un suo pedinatore e deve essere qualcosa di simile a ciò che capita agli agenti dei servizi segreti americani quando, a forza di intercettare presunti terroristi islamici, condividendone le pie giornate, alla fine si convertono e perdono l’impiego. In questo caso, invece, in caso di vittoria elettorale di Crocetta, Malafarina potrà ben impastare nuovo e più lussuoso pane, ripagando con soddisfazione la fatica di un paio di mesi di propaganda con tutti quei manifesti, affacciati di qua e di là dai muri delle città e dei paesi remoti, che da ieri, come oggi e anche domani, si godono la scena. Fosse pure dai muri tutti incastrati tra le viuzze strette e sassose che vanno a spalancarsi tra i canneti e i campi sabbiosi di Gela.
Ieri, come oggi, come domani, ogni campagna elettorale è epica a sé. Ricordo quando, ad Agira, arrivava Lillo Mannino. Intorno a lui la folla si faceva a grappoli, facce nuove di forestieri rammodernavano la piazza immobile, poi, nel resto degli altri giorni. Veniva giusto per far vendemmia di consensi, Lillo, era ministro dell’Agricoltura per la Democrazia cristiana e i vecchi comunisti ne commentavano la scelta con vive congratulazioni: “Lillo è un esperto di cose contadine”. Pancrazio De Pasquale, mitico onorevole del Pci, già presidente del Parlamento siciliano, faceva una glossa sulla parola “esperto”: “Compagni, precisiamo. Lillo non è solo esperto, è ‘sperto”. E sperto vuol dire in gamba, valente, lesto e pratico di una scienza altrimenti sconosciuta presso i sicilianuzzi sempre troppo paesani. Sperto è anche avere l’uso di mondo.
Ieri, oggi e domani. I comizi dei democristiani non toccavano le corde del cuore. Erano più sanguigni i comunisti e – inutile dire – i fascisti. Insuperabili, quest’ultimi, nell’arte della parola. Tutto comincia con Gaetano Laterza, autore anche de “I vice vicerè”, un libro sui protagonisti di Sala d’Ercole, il Parlamento di Sicilia che è anche l’assemblea più antica d’Europa e poi – più avanti nel tempo – la piazza per eccellenza della destra sarà quella di Enzo Trantino, oratore magnifico cui si deve l’invenzione dello slogan reversibile: “L’onore del coraggio, il coraggio dell’onore”. Volle personalmente mettere fine al calembour quando con piglio luciferino Trantino alzò per se stesso la palla alla battuta: “Il culo nella presa, la presa per il culo”.
Domani, oggi e ieri. Ci si stiracchiava pigiati nella mischia dei saluti e degli applausi, i comizianti erano delle vedette e siccome in Sicilia, grazie a Dio, non c’è stata mai la gramigna dell’odio politico, erano più i cori di sfrenata ilarità che le aspre risse consumate sempre sottovoce e magari tra i corridoi dei congressi, dei convegni e dei ritiri spirituali.
Certe coltellate silenziate come quelle date nei conciliaboli dei gesuiti manco al chiuso di una stanza, in un appartamento alla Kalsa, al tempo dell’emiro buonanima, si sono viste perché, infine, ieri, oggi e domani, in Sicilia, è come dire sempre.
I siciliani sono figli di Gorgia, pratici di retorica, battono le mani ai fini dicitori e ai mattatori – come oggi con Beppe Grillo – ma hanno avuto Verre e perciò sono di panza, aspettano la sostanza e l’episodio chiave che ne svela il profondo è quello del viaggio elettorale in Sicilia che si fece Indro Montanelli, nel 1952, accompagnando Sua Eccellenza, l’ambasciatore Filippo Anfuso.
La storia è proprio deliziosa. Immaginate i due, eleganti e spiritosi. Tutti e due alti, foderati di sartoria, e però militari nel passo. Tutti e due con quegli occhi spietati per via delle donne falciate come niente, al loro passaggio in un viaggio lungo, in treno, tra vagone ristorante e scompartimenti. Si pregustano la prima sosta, a Castelvetrano. “Ecco”, dice Anfuso a Montanelli, “stasera io comizierò nel paese di Giovanni Gentile. Abbi cura di non prendermi in giro se farò sfoggio di retorica. Lo sai. E’ questo che la gente vuole: parole al vento”. Il giornalista risponde con un sorriso, arrivano infine, viene sera e si portano nella piazza del comizio. Ed è, come sempre, uno sfoggio di alta oratoria scientemente calibrata da Anfuso per arrivare all’applauso sicuro, ricordando l’illustre concittadino, ovvero Giovanni Gentile. Anfuso evoca il nome del filosofo ma niente, nessun battere di mani. Eppure la piazza mostra come un unico sorriso, tanti passaggi sono fermati dall’acclamazione ma una seconda citazione di Gentile e poi una terza e un’altra volta ancora non riescono a smuovere la folla raccolta intorno al podio. Niente di niente. Zero applausi per ogni volta che viene nominato Giovanni Gentile, un nome, in quel suo paese, che è come un macigno sul petto.
Il comandante della polizia municipale batte l’indice sull’orologio, finisce il comizio, la folla si accalca sul podio e Anfuso, scendendo gli scalini, dal segretario della sezione locale del Msi che pur si felicita si sente dire: “Eccellenza, ma proprio a Gentile doveva nominare nel suo comizio? Fu ministro della Scuola e un favore, una nomina, una promozione, un trasferimento, almeno uno, qui in paese non lo volle mai fare!”.
Ieri, oggi e domani. E chissà che a partire da adesso le campagne elettorali di Sicilia saranno fredde e imperscrutabili come quella che si conclude stanotte, a mezzanotte. Se non ci fosse stato Grillo manco a Villa San Giovanni avrebbero saputo della campagna elettorale in corso. Inutile dire di quello che succederà nottetempo. Mandrie di voti saranno spostate come neanche nel più complicato transumare di stanche vacche dove nessuna si perde e ognuna, pronta alla mungitura, offre la più soda e piena delle mammelle. Stanotte, tutto stanotte si farà perché come ieri, anche oggi e soprattutto domani, è sempre l’ultimo momento quello che cancella vergogna e avvilimento in chi è solito fare gruzzolo anche a dispetto della dignità.
E poi, certo – ieri, oggi e domani – ci fu il fatto di qualche settimana fa, quando Totò Cuffaro è tornato in paese per andare al capezzale del padre malato. E’ stato applaudito e siccome qualcosa deve essere cambiato fa fede quello che mi ha detto l’amico Ciccio, Ciccio Tumeo per la precisione: “Pure io ce li battevo le mani a Totò se solo l’avessi avuto davanti, a Raffadali, sotto casa sua, o sull’aeroplano, scendendo in Sicilia da Rebibbia. Ovunque avessi avuto modo di vedere a Totò che è un amore, un santo cristiano, uno che la galera se la sta sucando tutta e senza dire pio, gli avrei fatto tanto di cappello. E pure io, dunque, non vedo l’ora di darci un bacio a Totò che è, errori a parte, un esempio di cugghiunutu come mai ce ne sono stati specialmente nella Sicilia bedda dove gli uomini di panza, questi bastardi, sono sempre sepolcri imbiancati. Gente che non paga dazio e che della strafottenza ne fa vanto. A Totò che si mangiò i cannoli se lo consumarono tutti i telegiornali, facendolo uomo nero di ogni malefatta. Al suo successore che ancora fino a ieri ha fatto nomine a tinchitè, facendo mangiare denari a tutti i clienti, nessuno ha detto niente, specialmente nella nostra Sicilia dove stiamo tutti col cappello in mano mentre a Totò, il nostro Totò, a cui volentieri tanti ci battono le mani, glieli fanno gli applausi perché – sotto sotto – con lui si celebra ‘u tintu accanusciuti (il cattivo notorio) rispetto al tintissimo (il cattivissimo) che nessuna ventura potrà levarci mai più. Manco queste elezioni dove uscendo dalla porta, il suo successore, rientrerà direttamente dalle fogne delle segrete trattative con tutti i partiti, Pd in testa”.
Ieri, oggi, domani. Cosi? “Così. E se poi ancora c’è qualcuno che si fa venire il sangue in testa pensando a Totò, se ancora ne fanno lo zenit del peggio, se lo odiano e non si fanno la croce con la mano manco davanti a un poverocristo carzarato, è solo perché non hanno ancora elaborato il necessario distacco storico. E si tengono ‘u tintissimo per sempre”.