Processo Mori, parla Spatuzza
"Graviano ordinò strage carabinieri"
Gaspare Spatuzza ricostruisce la fasi del fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma del gennaio 1994 che aveva come bersaglio i carabinieri. Ma il pentito non è in grado di spiegare se si trattasse di una ritorsione a causa di un "patto" con la mafia non rispettato.
PALERMO - L'obiettivo era uccidere carabinieri, "ma non tre o quattro, almeno cento, centocinquanta". Il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano ordinava, il manovale Gaspare Spatuzza eseguiva, come avvenuto nel gennaio del 1994 nel fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma. Ma Spatuzza - che ha deposto oggi al processo di Palermo all'ex generale dei carabinieri Mario Mori per favoreggiamento aggravato - non è in grado di ricostruire il movente di quell'attentato. Alla specifica domanda del pm Nino Di Matteo se fosse a conoscenza che la strage di carabinieri era un atto di ritorsione, di "vendetta" per un patto non rispettato, il collaboratore di giustizia ha candidamente ammesso di non saperlo e inquadra l'atto all'interno della generale strategia terroristica portata avanti dalla cosca di Brancaccio.
Gaspare Spatuzza, collegato in teleconferenza, ripreso di spalle con un cappello da pescatore in testa, ha iniziato la sua testimonianza ribadendo il suo pentimento, la sua decisione di sposare la legalità ma non rinnegando l'amicizia con Filippo e Giuseppe Graviano con cui, dice, "siamo cresciuti assieme". Poi ha passato in rassegna il ruolo avuto nelle cosiddette stragi in continente del 1993. Fino alla riunione di Campofelice di Roccella, comune del Palermitano, di fine '93, e quella frase pronunciata con voce tremante: "A noi queste morti non ci appartengono". Spatuzza stava palesando al suo capo, Giuseppe Graviano, di non capire le ragioni delle stragi. Un errore che poteva essere fatale, dice Spatuzza, "esternare debolezza significava rischiare di essere ucciso". E quella riposta del capomafia di Brancaccio: "E' bene che ci portiamo dietro un po' di morti, così chi si deve muovere si dà una smossa. Se la cosa va a buon fine ne avremo vantaggi tutti, soprattutto i carcerati". Una questione "politica" la definisce Spatuzza che in quella occasione viene investito della nuova, micidiale, azione terroristica di Cosa nostra: "Come obiettivo da abbattere abbiamo i carabinieri".
Così, racconta Spatuzza, il gruppo di fuoco di Brancaccio parte da Palermo con una Lancia Thema rubata con telaio ribattuto e targa contraffatta. In auto l'esplosivo, diverso da quello utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze e Milano. "Cosa nostra non mette mai la firma negli attentati" dice il pentito per giustificare questa variante rispetto alle altri stragi. Una diversità che non resterà sola. Nel "bingo" di Roma - questo il nome in codice dell'attentato - "avvengono anomalie. Strada facendo l'attentato cambia portata. Bisognava accentuare l'esplosivo e aspettare lui (Giuseppe Graviano, ndr). E' avvenuto qualcosa che ha cambiato le cose" dice il collaboratore.
I dubbi di Spatuzza troverebbero spiegazione nell'ormai famigerato incontro al Bar Doney di via Vittorio Veneto, a Roma, dove Giuseppe Graviano avrebbe comunicato al suo manovale che avevano "chiuso tutti i discorsi" e che avevano "il paese nelle mani". Ma, ciò nonostante, si doveva dare il "colpo di grazia". Quindi l'attentato si doveva comunque fare. Sarebbe stato lo stesso Spatuzza, secondo quanto racconta alla corte della quarta sezione penale del Tribunale di Palermo, a individuare lo stadio Olimpico come scenario della strage. "Avevo bisogno di 100-150 carabinieri, dove li potevo trovare? - dice - abbiamo individuato una stradina laterale e abbiamo lasciato la Lancia Thema. Con una moto siamo saliti su una collinetta, a Monte Mario, e abbiamo aspettato che passasse il pullman dei carabinieri. Benigno (Francesco, ndr) schiaccia il telecomando ma non succede niente. La missione era fallita. Quindi scendiamo e Benigno continua a schiacciare il telecomando: a quel punto le vittime non sarebbero state più i carabinieri ma i civili".
Dopo il fallito attentato all'Olimpico Spatuzza è tornato a Palermo in attesa di nuovi ordini, ma, qualche giorno dopo, Giuseppe e Filippo Graviano verranno arrestati a Milano. Il bastone del comando della cosca di Brancaccio passa a Nino Mangano che progetta l'attentato - anche questo fallito - al pentito Totuccio Contorno a Formello.
Spatuzza ha anche raccontato che non era la prima volta che nel mirino della strategia stragista finivano le forze dell'ordine. C'era un progetto di attentato "alle due torri di viale del Fante", la sede della Dia di Palermo. Ma non si trattava di un attentato specifico contro i carabinieri, "sapevano che dentro c'erano pentiti, magistrati e carabinieri". In particolare Spatuzza, nei sopralluoghi, aveva individuato un bersaglio, "un carabiniere che si muoveva su una spider rossa, mi pare si chiamasse Miranda", e anche la modalità di intervento: "Ho visto che facevano entrare autobotti con acqua potabile. Potevamo utilizzare queste. Ma resta solo pianificazione, Giuseppe Graviano doveva dare l'ordine di esecuzione". Il pentito narra pure del progetto di una strage al commissariato di Brancaccio, "ma quella era una cosa personale perché girava voce che i poliziotti non volevano arrestare i Graviano ma li volevano uccidere per strada". Anche questo progetto non avrà esecuzione.
Gaspare Spatuzza, collegato in teleconferenza, ripreso di spalle con un cappello da pescatore in testa, ha iniziato la sua testimonianza ribadendo il suo pentimento, la sua decisione di sposare la legalità ma non rinnegando l'amicizia con Filippo e Giuseppe Graviano con cui, dice, "siamo cresciuti assieme". Poi ha passato in rassegna il ruolo avuto nelle cosiddette stragi in continente del 1993. Fino alla riunione di Campofelice di Roccella, comune del Palermitano, di fine '93, e quella frase pronunciata con voce tremante: "A noi queste morti non ci appartengono". Spatuzza stava palesando al suo capo, Giuseppe Graviano, di non capire le ragioni delle stragi. Un errore che poteva essere fatale, dice Spatuzza, "esternare debolezza significava rischiare di essere ucciso". E quella riposta del capomafia di Brancaccio: "E' bene che ci portiamo dietro un po' di morti, così chi si deve muovere si dà una smossa. Se la cosa va a buon fine ne avremo vantaggi tutti, soprattutto i carcerati". Una questione "politica" la definisce Spatuzza che in quella occasione viene investito della nuova, micidiale, azione terroristica di Cosa nostra: "Come obiettivo da abbattere abbiamo i carabinieri".
Così, racconta Spatuzza, il gruppo di fuoco di Brancaccio parte da Palermo con una Lancia Thema rubata con telaio ribattuto e targa contraffatta. In auto l'esplosivo, diverso da quello utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze e Milano. "Cosa nostra non mette mai la firma negli attentati" dice il pentito per giustificare questa variante rispetto alle altri stragi. Una diversità che non resterà sola. Nel "bingo" di Roma - questo il nome in codice dell'attentato - "avvengono anomalie. Strada facendo l'attentato cambia portata. Bisognava accentuare l'esplosivo e aspettare lui (Giuseppe Graviano, ndr). E' avvenuto qualcosa che ha cambiato le cose" dice il collaboratore.
I dubbi di Spatuzza troverebbero spiegazione nell'ormai famigerato incontro al Bar Doney di via Vittorio Veneto, a Roma, dove Giuseppe Graviano avrebbe comunicato al suo manovale che avevano "chiuso tutti i discorsi" e che avevano "il paese nelle mani". Ma, ciò nonostante, si doveva dare il "colpo di grazia". Quindi l'attentato si doveva comunque fare. Sarebbe stato lo stesso Spatuzza, secondo quanto racconta alla corte della quarta sezione penale del Tribunale di Palermo, a individuare lo stadio Olimpico come scenario della strage. "Avevo bisogno di 100-150 carabinieri, dove li potevo trovare? - dice - abbiamo individuato una stradina laterale e abbiamo lasciato la Lancia Thema. Con una moto siamo saliti su una collinetta, a Monte Mario, e abbiamo aspettato che passasse il pullman dei carabinieri. Benigno (Francesco, ndr) schiaccia il telecomando ma non succede niente. La missione era fallita. Quindi scendiamo e Benigno continua a schiacciare il telecomando: a quel punto le vittime non sarebbero state più i carabinieri ma i civili".
Dopo il fallito attentato all'Olimpico Spatuzza è tornato a Palermo in attesa di nuovi ordini, ma, qualche giorno dopo, Giuseppe e Filippo Graviano verranno arrestati a Milano. Il bastone del comando della cosca di Brancaccio passa a Nino Mangano che progetta l'attentato - anche questo fallito - al pentito Totuccio Contorno a Formello.
Spatuzza ha anche raccontato che non era la prima volta che nel mirino della strategia stragista finivano le forze dell'ordine. C'era un progetto di attentato "alle due torri di viale del Fante", la sede della Dia di Palermo. Ma non si trattava di un attentato specifico contro i carabinieri, "sapevano che dentro c'erano pentiti, magistrati e carabinieri". In particolare Spatuzza, nei sopralluoghi, aveva individuato un bersaglio, "un carabiniere che si muoveva su una spider rossa, mi pare si chiamasse Miranda", e anche la modalità di intervento: "Ho visto che facevano entrare autobotti con acqua potabile. Potevamo utilizzare queste. Ma resta solo pianificazione, Giuseppe Graviano doveva dare l'ordine di esecuzione". Il pentito narra pure del progetto di una strage al commissariato di Brancaccio, "ma quella era una cosa personale perché girava voce che i poliziotti non volevano arrestare i Graviano ma li volevano uccidere per strada". Anche questo progetto non avrà esecuzione.
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