martedì 13 novembre 2012
Enna. La badante rumena che si liberò della figlia appena nata, condannata 8 anni, presenta appello
Enna. Joana Marin, la badante rumena che si liberò della figlia appena nata, mettendola in sacchetto di plastica ed affidandola ad una persona che poi l’ha buttata nel cassonetto della spazzatura in contra Risicallà ha presentato appello. Sono passati sette anni esatti dalla quella tragica morte , avvenuta l’11 novembre 2005. Paolo Patelmo difensore della rumena Joana Marin, condannata a 8 anni per infanticidio, ha presentato un ricorso dettagliato, arricchito di importanti consulenze di parte, come quella del professor Carlo Torre, noto perito dell’inchiesta sull’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, secondo cui la piccola Angelica in realtà è morta prima di venire al mondo. Si contesta la mancanza della prova scientifica e l’assenza del principio che la responsabilità va dimostrata “aldilà di ogni ragionevole dubbio”. Ricorso è stato presentato anche dall’avvocato Gabriele Cantaro, difensore dei coniugi ennesi Giovanni Scevole e Rachela Pirrera, che sono stati condannati per concorso in occultamento di cadavere. Per l’accusa i due coniugi aiutarono la Marin a disfarsi del corpicino, ma dall’accusa di infanticidio, sono usciti assolti con formula piena. È rimasta solo l’ipotesi minore, per cui sono stati condannati ad 1 anno e 8 mesi lei e ad 1 anno e 9 mesi lui, pena sospesa per entrambi. Secondo l’avvocato Cantaro c’è incoerenza nel dire che i due sono innocenti dall’accusa di concorso in infanticidio, e dunque totalmente ignari del fatto che la Marin stesse per partorire, come sta scritto in sentenza, e sostenere che però l’aiutarono a disfarsi del corpo. L’avvocato Cantaro sostiene che esiste una contraddizione. Ecco perché è stato presentato l’appello, i due coniugi erano ignari di tutto e vanno assolti anche dall’ipotesi minore. La rumena, secondo l’accusa, uccise la piccola Angelica subito dopo il parto, annegandola nell’acqua calda, ma per il giudice agì da sola e l’uccisione fu determinata da “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”. Per questo il Gup ha derubricato il reato da omicidio volontario a infanticidio, reato che prevede pene fino a dodici anni, non accogliendo la richiesta del procuratore Calogero Ferrotti, che aveva chiesto 30 anni perché si è trattato di vero e proprio omicidio.
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