martedì 22 febbraio 2011

E' in partenza dal Binario 1...



E’ come sfogliare le pagine un po’ ingiallite di un libro rilegato ancora con filo e colla ricoperto da uno spesso cartoncino, inciso a cifre d’oro. Così, con lo stesso stato d’animo, con la stessa curiosità e uguale stupore con cui lo si sfoglia, ci si approccia a Villarosa, paesino in provincia di Enna, un tempo territorio di Caltanissetta. Icona di ricordi di una Sicilia dalla bellezza “…velata e offuscata ma non guasta…”per dirla con Manzoni. A 38 Km da Piazza Armerina, dove si trovano i preziosi mosaici della villa romana del Casale, incontriamo quella che un tempo si chiamava Casale di Bombunetto(dall’arabo Bob-el-luna: porta della tranquillità) ribattezzata poi San Giacomo di Villarosa e infine Villarosa dal 1761, in onore di Rosa Ciotti da Resuttano(provincia di Enna), architetto e pittrice che ridisegnò il piano regolatore della cittadina. Lo volle a somiglianza dei Quattro Canti, piazza Vigliena di Palermo, distribuendo su una pianta ottagonale quattro zone ottenute dalla intersecazione della perpendicolare all’incrocio delle due strade principali: Corso Garibaldi e Corso Regina Margherita, che costituirono i quartieri Sant’Anna, Porta Palermo, Calvario e Sagrezia. Furono poi ribattezzati, nel dopoguerra: Cavour, Procida, Meli e Lincoln. L’architetto e pittrice dipinse anche lo stemma del paese: su un fondo azzurro racchiuso in un ovale con su scritto Casale di San Giacomo di Villarosa, risalta una rosa d’oro.
Il violento terremoto del 1693 che si abbatté sulla Sicilia, distrusse e spopolò anche l’antico borgo di Bombunetto le cui origini si fanno risalire al 1250.
Francesco Notarbartolo acquistò la baronia e il feudo e in seguito a un matrimonio politicamente fortunato, divenne proprietario di un vasto territorio delimitato dal fiume Salso (di acqua salata da cui il nome) e dal fiume Morello (di acqua dolce). Fu il figlio, il Duca Placido, che nel 1762 ottenne la “licentia populandi” che il padre aveva chiesto fin dal 1731, con la quale fu autorizzato a chiamare nei suoi possedimenti tutti coloro che dai centri più vicini e non solo, volessero trasferirsi per iniziare una nuova vita e formare una nuova comunità lavorativa. L’economia del paese fu sempre molto attiva e florida; il XIX° secolo lo vide pure protagonista nell’estrazione dello zolfo dalle miniere presenti nel suo territorio.
Fu proprio questa attività imprenditoriale che spinse, alla fine del 1700, il notaio Calogero Deodato - la cui famiglia, originaria di Orvieto si era trapiantata a Noto(Siracusa) intorno al 1492 – ad acquistare giacimenti minerari di zolfo diventando così proprietario di numerosi feudi e solfatare.
L’ultimogenito, Pietro, ricoprì la carica di Sindaco di Villarosa e diede ulteriore impulso allo sviluppo della cittadina facendo convogliare l’acqua della sorgente “gazzana” di Calascibetta nella rete idrica che aveva fatto costruire. Fu anche membro della Storia Patria e appassionato di cultura e tradizioni popolari. Benedetto, il 4° dei suoi 12 figli, anch’egli notaio, anch’egli sindaco e poi podestà sotto il fascismo, fece costruire la prima scuola elementare del paese e nel 1932 fece impiantare la rete elettrica. Con il contributo chiesto al giornale di New York “Il progresso italo-americano”, fece erigere il monumento ai caduti. Morì nel 1934, lo stesso anno in cui a Luigi Pirandello veniva consegnato il premio Nobel per la letteratura. Anche il grande drammaturgo agrigentino aveva nel suo DNA lo zolfo, le miniere: nel giorno della sua nascita, 28 giugno 1867, furono due carusi che portarono a spalla il padre Stefano, malato, proprietario di una solfatara, alla casa del Caos dove la moglie stava per partorire Luigi. In “Ciaula e la luna”, Pirandello descrive in modo struggente la vita del caruso, figura emblematica di una Sicilia povera in cui il lavoro del minatore costringeva a un mondo “al buio” e dove l’impatto con la luce, fosse anche quella della luna, diventava traumatico per chi, vissuto tra le viscere più profonde della terra, conosceva una realtà a una sola dimensione: il buio della notte, il nero più cupo. Nei primi anni del ‘900 una piccola rete ferroviaria, a “scartamento ridotto”, fu costruita dalla società inglese Sikelia che aveva preso in concessione alcune miniere. Le decauville, vagoncini di ferro ribaltabili, potevano così trasportare il materiale estratto direttamente alla stazione ferroviaria di Villarosa (inaugurata il 1° febbraio 1876) per poi dirottarlo verso i porti di Licata mare, Porto Empedocle e Catania.
Ma è sui binari delle ferrovie che si infrange il sogno di molti bambini, una volta divenuti adulti.
Il…”Signori, in carrozza! E’ in partenza dal binario 1 il treno diretto a…” seguito dal fischio del capostazione dall’inconfondibile berretto rosso, si spezza su una nuova realtà, su un presente che è un itinerario della speranza, un viaggio per molti senza ritorno. E’ l’emigrante il passeggero di quel treno con la sua valigia di cartone, legata dallo spago per essere certi di non perdere lungo il tragitto il bagaglio dei ricordi, tristi o lieti che siano, ma pur sempre il proprio passato, il proprio vissuto, la propria appartenenza. Quando ai primi del ‘900 il settore estrattivo comincia a dare segni di crisi, l’America diventa il primo ideale di riscatto; seguiranno poi, negli anni ’40 il Belgio, la Francia e la Germania. Sul muro della stazione, una lapide che vi si legge ancora, così recita: “Parto, riesco e torno al mio paese”. Ha rischiato di infrangersi anche il sogno del ritorno dell’emigrante: negli anni ’90 le Ferrovie decidono di dismettere la stazione e mandano Primo David, originario di Villarosa, capostazione, per smantellarla. Novello Penelope, come ama definirsi, mentre di giorno preparava la documentazione richiestagli per lo smantellamento, di notte si adoperava per trovare la possibilità di salvare quel patrimonio di ricordi, per salvare la memoria di quel paese così ricco di storia e di reperti etnoantropologici. Grazie all’aiuto degli stessi abitanti e di coloro che da lì erano partiti tanti anni prima in cerca di fortuna, riesce a raccogliere innumerevoli oggetti della vita rurale e mineraria che diventano materiale museale. Ed è proprio un Museo che si inventa Primo David, sfruttando i vagoni abbandonati su un binario morto della piccola stazione e che, alcuni dei quali, erano addirittura serviti nella seconda guerra mondiale per deportare ebrei da Roma a Trieste, alla risiera di San Sabba, unico campo di concentramento in Italia con annessi forni crematori. Da luogo di dolore diventano luogo di cultura. Al loro interno si trovano riprodotti, nei minimi particolari e composti soltanto da “pezzi” assolutamente originali, ambienti di vita sia nobiliare che contadina dei Villarosani. Alcuni oggetti, davvero preziosi ed unici, arricchiscono questo singolare monumento alla memoria che può vantare – è anche l’unico museo-treno d’Italia – pezzi rari come, visitabile al 1° binario, un vagoncino minerario che serviva al trasporto del carbone nelle miniere del Belgio, arrivato dal distretto di Charleroix. Vi sono riprodotte perfino le miniere con gli attrezzi per l’estrazione dello zolfo, le lampade per l’esplorazione dei cunicoli, tante foto d’epoca; su un binario morto si può osservare una vecchia motrice, una garitta del frenatore e un pianale del 1926 adibito al trasporto di carri armati nella seconda guerra mondiale. Non manca una pompa che serviva a rifornire d’acqua le locomotive a vapore e un vecchio telefono da muro; c’è pure la “casa del contadino”, la “bottega del ciabattino” e proprio la settimana scorsa, grazie alla generosità della famiglia Pecora, è stata donata una casa che ospita il museo “ ‘a casa du ‘miricanu”(la casa dell’americano), ricco di materiale fotografico e di quanto è appartenuto a Giovanni Pecora emigrato a Chicago nel 1968, compreso un giradischi dell’epoca. Primo David, intervistato per l’Italo-Americano, ci conferma la rinascita della stazione ferroviaria di Villarosa, salvata grazie al suo intervento e all’amore suo e dei suoi concittadini. Con 200.000 turisti che in 14 anni hanno visitato il museo (visitabile virtualmente anche attraverso il sito internet www.trenomuseovillarosa.com) il cui 80% lo ha fatto arrivando al paese in treno, il successo è stato raggiunto. La stazione è salva e il capostazione, che si definisce “zappatore di cultura”, adesso è orgoglioso di mostrare che dal binario 1 non partono soltanto treni carichi di tristi emigranti ma arrivano turisti da ogni parte, restituendo al territorio la dignità culturale che merita.
Ancora una volta, allora sentiremo dalla stazione di Villarosa: “Signori, in carrozza. E’ in partenza dal binario 1 il treno diretto a….”

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