domenica 18 novembre 2012


Il caso ufficio stampa e una Regione da rivoluzionare



La crociata di Crocetta contro i 21 giornalisti di Palazzo d'Orleans ha scatenato un lungo dibattito su Live Sicilia. Un caso emblematico, in cui però la cura può essere peggiore della malattia, se una volta e per tutte la Sicilia non affronta il tema del merito con coraggio

PALERMO- Le sortite del neogovernatore Rosario Crocetta sul destino dell’ufficio stampa della Regione hanno acceso un dibattito affollato sul web e in particolare sulle pagine di Live SiciliaL’articolo di Accursio Sabella sulla vicenda ha superato i 120 commenti. Indice di un indiscutibile interesse da parte dell’opinione pubblica su una vicenda surreale e per certi versi emblematica della delirante gestione del denaro pubblico e delle assunzioni nella pubblica amministrazione siciliana. Crocetta, con parole dure e dirette ha pronunciato il requiem per l’ufficio stampa, composto d 21 giornalisti, la grandissima parte dei quali assunti per chiamata diretta all’epoca di Totò Cuffaro, tutti follemente inquadrati come caporedattore, la qualifica più alta che il contratto nazionale di lavoro prevede. Todos Caballeros, capi di se stessi, distribuiti tra Palermo, Catania, Roma e persino Bruxelles. Il neogovernatore li considera “decaduti” e senza andare troppo per il sottile ne parla già come di ex. Bene, bravo, bis, si spellano in tanti le mani commentando la sortita dell’irruente Crocetta. Che invece non è piaciuta a Ordine dei giornalisti e sindacato, tempestivi nel censurare le parole del governatore e solidarizzare con i colleghi finiti nel suo mirino. Una tempestività che il sindacato dei giornalisti non dimostrò quando sei anni fa l’obbrobrio dell’assunzione di massa fu perpetrato a scapito di tutti quegli altri giornalisti che avrebbero avuto titoli e qualità per accedere a quella posizione lavorativa laddove, come si usa dalle parti della civiltà, per quei posti fosse stato bandito un concorso.

La vicenda è delicata, come tutte quelle in cui c’è di mezzo il pane e il companatico di un lavoratore. E al di là di come la si pensi, è difficile negare che Crocetta si sia mosso sul tema con un certo deficit di delicatezza (tanto per marciare ad eufemismi), che invece il ruolo imporrebbe. Soprattutto quando ha preso di mira un singolo giornalista dell’ufficio stampa con pubbliche accuse peraltro tutte da verificare, riducendo quasi a una questione personale l’intera faccenda.

Ciò non di meno, è altrettanto difficile negare che alla base della reprimenda di Crocetta vi siano buone, se non sacrosante ragioni. Perché la storia dell’ufficio stampa della Regione Sicilia, che ha più capiredattori delle più prestigiose testate giornalistiche nazionali, è difficilmente difendibile sin dalla sua infelice genesi. E quindi, l’annuncio di voler rivoluzionare lo status quo, almeno in teoria, non può che essere salutato positivamente. Per lo meno, si può dire che l’idea di aggiustare un papocchio simile parta nella giusta direzione. Ma il diavolo si annida nei dettagli e la giusta direzione non sempre è sufficiente per garantire la bontà del viaggio. Questo accade quando il percorso che si sceglie preferisce la via tortuosa al rettilineo. E ci pare che questo sia il rischio che si corre in questa vicenda. Ossia che la cura possa essere persino peggiore della malattia.

Bene ha scritto l’Ordine dei giornalisti a proposito: “Non parla, Crocetta, di concorsi e selezioni trasparenti, ma di curricula che gli si dovranno presentare e che egli stesso intende verificare. A questo punto non riusciamo davvero a cogliere la differenza con il tanto deprecato passato”. Osservazione pertinente, e puntuale. Perché se alla fine il repulisti crocettiano si dovesse esaurire nell’epurazione di giornalisti piazzati da avversari politici, tutelando dall’estinzione una pattuglia di protetti vicini a politici graditi, magari per affiancare loro qualche collega del cerchio magico dell’ex sindaco di Gela, francamente non si coglierebbero le sostanziali differenze dalle passate gestioni. Più lineare e serio sarebbe azzerare l’esistente, ma nel rispetto dei contratti e delle norme e con tutte le garanzie per i lavoratori coinvolti, e ripristinare un principio di legalità e civiltà bandendo un trasparente e serio concorso pubblico. Nessuno, però, ha sentito pronunciare fin qui parole simili al governatore.

A meno che, è chiaro, l’idea del presidente sia quella di azzerare e mandare definitivamente in soffitta l’ufficio stampa, tornando all’era dei portavoce, con rapporto, quello sì, fiduciario, destinato a estinguersi con lo spoil system e senza qualifiche da caporedattore e altri deliri. Lo scopriremo solo vivendo. Ma vorremmo scoprirlo con almeno due auspici. Il primo è quello di mettere da parte un certo livore da caccia alle streghe. La responsabilità del pasticcio dell’ufficio stampa non appartiene ai suoi componenti ma alla classe politica che concepì quella follia, e questo è bene ricordarlo. Il secondo è che tutto questo sacro furore contro i posti di lavoro gentilmente concessi a prescindere dal merito, non esaurisca la sua foga sui 21 colleghi finiti loro malgrado sotto i riflettori. Ecco, vorremmo, che il cono di luce di quei riflettori si allargasse. Per “scoprire” come il merito in questa Regione sia un illustre sconosciuto, e come la regola del posto di lavoro a chiamata imperi quando si tratta di spendere soldi pubblici. Dai forestali ai precari delle cooperative e dei “progettini”: è così che si lavora in Sicilia, togliendo il lavoro al vicino di casa che magari avrebbe più diritto a quel posto ma che nella rubrica telefonica non ha il numero giusto. Ecco, se ci si vuole riempire davvero la bocca di “rivoluzione”, è tutto questo sistema che va aggredito, senza celarsi dietro il comodo alibi del no alla macelleria sociale. A meno che lo scroscio del rotolare di 21 teste di caporedattore, non serva a distrarre dall’osceno frastuono di un sistema perverso che ha portato la Sicilia a due passi dal fallimento.

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