È in voga un gioco di società negli ambienti “in” dei Palazzi della politica. Potremmo chiamarlo “chi c’è dietro”. Il gioco richiede la conoscenza di uomini e apparati, una vocazione all’inquisizione e una abilità felina nell’individuazione di legami, filiere di comando, amicizie. Il “chi c’è dietro” è anche esercizio di memoria. Non sarebbe possibile mettere insieme i tasselli se non si hanno buone qualità mnemoniche. Il tassello suggerisce una quota e la quota, a sua volta, suggerisce il dante causa, il mandante, il regista, il padrino, il capo corrente, a seconda dell’ottica e del grado di malizia e sospettosità di chi svolge l’indagine.
Il gioco ha soppiantato ogni altra attitudine all’analisi. È più importante scoprire la cinghia di trasmissione che la macchina, gli anelli di comando piuttosto che le abilità e le qualità di chi è incaricato di manovrare la macchina. Le competenze, la professionalità, l’onestà – virtù che fanno di un dirigente o di un uomo delle istituzioni un personaggio affidabile – sono diventati degli optional, orpello secondario, rispetto al “percorso”.
Tizio è bravo, ma ce ne sono tanti come lui: l’hanno fatto direttore (o assessore) perché è nato nella stessa città di Caio e sono diventati amici. Oppure: sempronio è uno che fa bene il suo lavoro, ma dieci anni fa è entrato nell’ufficio di gabinetto di uno degli assessori di Cuffaro (Lombardo, Provenzano, Drago ecc).
È il modo più subdolo di mettere ai margini il merito, perché affida il giudizio ad eventi, decisioni, episodi che non hanno nulla a che vedere con le qualità, o meno, di un servitore dello Stato, di un dirigente regionale, di un uomo delle istituzioni. La cultura del sospetto ha creato un sacco di danni: mettendo i nemici (politici)  nel calderone dei contigui, collusi o peggio, ha salvato i malandrini, i furbastri ed i mafiosi. Il suo surrogato – chi c’è dietro? – derubrica i meriti a mero incidente di percorso e favorisce le mezze cartucce. La composizione della giunta di governo ha scatenato i “giocatori”: tecnici chiamati a farne parte subiscono uno screening accurato al fine di mettere in luce le cattive amicizie, naturalmente nell’interesse dell’istituzione, del popolo, della Sicilia eccetera.
Chi ha svolto il suo lavoro, da dirigente o no, con Totò Cuffaro, quindici anni o dieci anni or sono, porta con sé un marchio, come i capi delle mandrie dei pionieri americani. Chi è stato nel governo (di centrosinistra) con Totò Cuffaro, invece, essendo provvisto di stimmate, grazie alla provenienza politica, rimane immune dal virus. Fermo restando che vanno messe in soffitta incrostazioni e vecchie abitudini, sarebbe ora di cambiare suonata: le persone serie e competenti vanno impiegate e giudicate per quello che sono, fino a prova contraria.


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